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Attualità

LE OMBRE

MANIGLIO BOTTI - 15/09/2017

profughiMigranti, tutto in ordine dunque? Problema risolto o in via di una possibile soluzione, dato che la prima ipotesi è molto difficile da raggiungere? Il ministro dell’interno Marco Minniti, che sta continuando i suoi viaggi in Libia a volte apertamente e a volte in segreto, distribuendosi tra i due capi delle principali fazioni, in Cirenaica e in Tripolitania, sembra essere ottimista. Tant’è che poco tempo fa s’è lasciato andare, al Festival dell’Unità di Pesaro, a una dichiarazione non tanto cauta: problema avviato a soluzione, si temeva una spaccatura insanabile per il paese e per la sua tenuta democratica; dichiarazione però subito rintuzzata dal ministro della giustizia Andrea Orlando, che l’ha quasi avvicinata a un’uscita che potrebbe preludere a interventi autoritari, fascisti insomma. Entrambe dichiarazioni sopra i toni, a dire il vero.

Qualche settimana prima, dalle colonne del Corriere della Sera, il giornalista Paolo Mieli, per altro nemmeno con toni entusiastici considerata la delicatezza del tema, faceva rilevare in un suo editoriale una diminuzione degli sbarchi – rispetto allo stesso periodo dello scorso anno – notevolissima, superiore al 70 %. Le mosse del ministro Minniti, perciò, si sono rivelate molto efficaci. E invitava, Mieli, a prendere coscienza di questo fatto. Magari con delle scuse da parte dei numerosi critici a oltranza.

La questione parte dagli inizi del mese di luglio, quando il ministro Minniti chiamò le navi delle diverse ong nazionali e internazionali impegnate nel Mediterraneo a accettare un codice di comportamento, che tra le altre cose prevedeva la salita a bordo delle navi stesse di agenti e ufficiali italiani di polizia giudiziaria, e armati. Fece abbastanza scalpore il rifiuto della ong francese Medici senza frontiere che non accettò di firmare tale regolamento (mentre molte altre ong lo fecero), proprio in considerazione dell’obbligo di una presenza a bordo – non richiesta – di uomini armati. Si aggiunse, al codice, un’indagine che vide la nave della ong tedesca Jugend Rettet accusata di “connivenze” con gli scafisti. Connivenze la cui natura dolosa non è mai stata accertata in verità.

Il problema dei migranti, tuttavia, non è per nulla risolto, anche se sono diminuiti gli sbarchi e sia il presidente francese Macron sia la cancelliera tedesca Merkel hanno applaudito al concreto attivismo del ministro italiano Marco Minniti. Il quale, però, è anche il primo a rendersene conto. E basta un niente a fare riprecipitare le cose.

Le accuse pervenutegli – non soltanto da fonti giornalistiche molto bene accreditate (la Associated press e la Reuters, per esempio) e anche da colleghi del ministro e da antichi “amici” come Massimo D’Alema – toccano soprattutto la sorte dei migranti, che se sono diminuiti nell’affrontare il rischio della traversata in mare non sono diminuiti come presenza in Libia, fermati e “bloccati” prima del viaggio per mare. Lo scorso 9 settembre anche il Corriere della Sera, con una lunga e dettagliata inchiesta dell’inviato Lorenzo Cremonesi, ha rilevato una presenza ipotizzata in Libia di circa seicentomila “prigionieri” in campi di concentramento – quasi le intere città di Firenze e di Bologna messe insieme neonati compresi – sulla cui condizione v’è una sorta di mistero. Perché ancora nessuna organizzazione internazionale ha potuto ufficialmente compiere una visita. Alcuni parlano di condizioni disumane, di torture, di violenze che nulla avrebbero da invidiare ai lager nazisti di infausta memoria.

Ma c’è di più. In Libia si parla di emissari italiani che, per fermare il flusso migratorio, avrebbero foraggiato a suon di milioni di euro efferati criminali e scafisti, presto riconvertitisi in “legali” e autorizzate guardie costiere. La situazione in Libia non è chiara, evidentemente. Nella migliore delle ipotesi si può definire fluida. Ma per intanto, il passaggio dei migranti è drasticamente calato, e anche i disastrosi naufragi in mare.

Il ministro Minniti ha smentito con veemenza che lo stato italiano (o i suoi servizi) abbia pagato per fermare il “traffico di uomini”. E ha ammesso con preoccupazione che il suo cruccio riguarda tuttora le condizioni di vita nei campi. Per una soluzione anche di questo problema – il secondo passo – vi è l’impegno di un coinvolgimento delle organizzazioni internazionali. E tuttavia, ancora, la situazione non è per nulla chiara. Anche la responsabilità avuta da Minniti in qualità di sottosegretario alla presidenza del consiglio con incarichi ai servizi di sicurezza non lo pone al di sopra di ogni sospetto circa uno specchiatissimo agire di parte italiana. Soprattutto quado poi Massimo D’Alema, che lo conosce bene, l’ha definito un “tecnico” di questi problemi. Ma non sembrava un complimento.

Gli approcci di emissari italiani in vari alberghi con gli ex criminali, per altro, sarebbero stati rilevati anche da agenti britannici e francesi. In Libia si parla di cinque milioni di euro, forse di più, anche il doppio, finiti nelle tasche degli ex trafficanti.

A parte il risultato evidente di una diminuzione di sbarchi e, dunque di una provvisoria soluzione di migrazioni verso l’Italia, sta il fatto che se si rivelassero giuste le voci di un nostro “pagamento” per tenere la situazione sotto controllo, i padroni della situazione non sarebbero Minniti, l’Italia e gli altri paesi europei. Ma i “capitribù” libici, cui nulla importa dei diritti umani e di un qualsivoglia governo insediato o che si insedierà a Roma, ma soltanto i loro personali interessi. Pronti perciò a aprire e a chiudere le porte della speranza (o della morte) a loro piacimento.

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