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Editoriale

RISORSE E NO

MASSIMO LODI - 22/09/2017

quattroChe cosa è andato a fare Bossi a Pontida? Boh. Sapeva che non avrebbe parlato, ordine di Salvini. E allora meglio stare a casa, invece che sedersi lì, sul mitico pratone autonomista, e dire con infinita tristezza che forse è suonata la campana del ritiro. Il rintocco echeggia da tempo, da quando una sentenza -sia pure di primo grado- ha riconosciuto il fondatore colpevole di reati incompatibili con la conservazione d’una presenza imbarazzante per il partito. Il realismo politico, e proprio l’amore verso la creatura cui ha dato vita, gli avrebbe dovuto consigliare di farsi da parte. Semplice buonsenso.

Invece no. Così il vecchio Senatùr ha dovuto patire un’umiliazione apparsa ingenerosa anche a chi gli ha sempre mostrato avarizia di consensi. Bossi era la Lega, ma la Lega non è più Bossi. Da un pezzo. Non si tratta d’un giudizio, oggetto di mille opinabilità. Si tratta d’un fatto. E dei fatti si deve prendere atto, anche quando non si vorrebbe. Bossi, questo sì, è rimasto Bossi: un partito personale. Brunetta gli ha proposto la confluenza in Forza Italia. Accogliere l’invito sarebbe una debolezza.

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Berlusconi torna in campo, il centrodestra unito guadagna consensi, se si votasse oggi riceverebbe più voti del Pd e dei Cinquestelle. L’ex premier annuncia: gara aperta con Salvini per la leadership della coalizione. Ci crede davvero o è una mossa tattica? Ci crede. Per qualche fondato motivo. 1) Salvini incrocia il favore del radicalismo, ma la maggioranza degli elettori anti-sinistra e non disponibili a mettersi nelle mani di Grillo/Di Maio rifiuta la deriva estremista. 2) l’alleanza che tre volte ha portato il Cavaliere alla presidenza del Consiglio non è riuscita, dal 2011 in poi, a esprimere alcuna personalità alternativa a lui. Molte mezze figure, nessuna figura di riferimento. La situazione persiste. 3) Il sistema di voto proporzionale non decreterà alcun vincitore e sarà necessario concordare intese tra opposti a urne chiuse. Una trattativa che il pronostico indica probabile tra Pd e centrodestra e nella quale Renzi certo preferisce avere come interlocutore l’ex pattista del Nazareno invece del sovranista post-verde. La realtà racconta di un ceto medio insicuro, spaventato, confuso. Che diffida dei dilettanti, sia pure volonterosi. Preferendogli i professionisti, sia pure datati.

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Che affidabilità assegniamo a chi fa il garantista in base a quanto (e a quando) gli conviene? Zero affidabilità. Il Movimento 5 Stelle aveva escluso dalle sue liste elettorali gl’indagati per marcare la diversità dagli altri partiti. Ora il cambio d’indirizzo: ok anche agli indagati. Se così non fosse, Di Maio non potrebbe giocare la partita perché coinvolto in un procedimento giudiziario. Non siamo più all’uno vale uno. Siamo all’uno vale un po’ di più, molto di più, di qualcun altro. Ovvero nella normalità consuetudinaria di palazzi, botteghe, conventicole del baraccone partitico. Quello che ha garantito il vitalizio a tutto il Parlamento uscente. I pentastellati han gridato allo scandalo. Invece di sgolarsi con tenorile demagogia, avevano un modo concreto per affermare/urlare la loro diversità: dimettersi. Non si è dimesso nessuno, figuriamoci se viene infranta la tradizione storica d’un Paese nel quale si parla così e ci si comporta cosà. I problemi sono sempre indicati come gravi, le soluzioni non sono mai serie. Qualunquismo? Sì, certo. Viva il qualunquismo.

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 D’Alema dà dell’idiota a Renzi. Non direttamente. Indirettamente. E in termini politici, si capisce. Glielo dà quando afferma che tale è colui che ritiene le elezioni siciliane un evento solo locale e non anche nazionale. Può avere ragione nella sostanza. Ha torto nella forma. Da tempo D’Alema indugia nell’andar sopra le righe, e deve dunque ritenersi una strategia, altro che una serie d’accidenti. Sembra si voglia accreditare come il paladino degli estranei al recinto della partitocrazia, lui che vi è sempre stato dentro. Dentrissimo. Dove vuole arrivare D’Alema? Mah. Di sicuro partì male, con chissà quale progetto. Accadde quando cominciò a silurare Renzi, contribuendo ad affossare riforma costituzionale e legge elettorale. Forse voleva da Renzi il sostegno a un ruolo europeo, che il segretario gli negò. Forse se la legò al dito. Forse fece e fa prevalere l’individualismo agl’interessi collettivi. Ma a pensarci bene, no. Uno statista come D’Alema vola alto, non si abbassa a ‘ste cosucce miserevoli. È certamente vittima di fraintendimenti. E resta una preziosa risorsa della sinistra. Come ha dichiarato l’allenatore della Roma, Di Francesco: è tipo che s’intende di vittorie. Altrui.

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