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Opinioni

LA MESCOLANZA

FRANCESCO SPATOLA - 22/09/2017

?????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????Essere “cittadini” di uno stato non significa solo godere pienamente dei diritti civili e politici che lo Stato garantisce. Significa anche e soprattutto sentirsi parte a pieno titolo della comunità umana che a quello stato appartiene, che abita quel territorio, che vive e lavora entro i suoi confini ricercando la possibile felicità, e da lì si proietta in modo libero e creativo verso e dentro l’universo mondo. Significa condividere l’identità nazionale del popolo di quello stato e godere di pari dignità, avere le stesse possibilità di benessere e libertà. Nel moderno stato democratico, significa poter essere se stessi fino in fondo nel contesto dell’organizzazione politica, economico-sociale e culturale in cui si vive.

La condizione di cittadino è tuttavia solo potenziale in chi nasce oggi, a seconda di dove nasce e di chi sono i suoi genitori, e può concretizzarsi a seconda dei principi che informano le leggi dello stato in materia di cittadinanza: ius sanguinis per derivazione dai genitori e ius soli in base a dove si nasce.

Lo ius soli, “diritto del suolo”, è il principio giuridico in base al quale chi nasce su un territorio statale ottiene per ciò stesso il diritto di cittadinanza di quello stato, indipendentemente dalla nazionalità dei suoi genitori. È il più diffuso nel mondo occidentale, dall’intero continente americano a quello australiano – terre di immigrati per eccellenza – sino ai maggiori paesi europei: Germania, Francia, Inghilterra; e perfino in alcuni paesi africani: Tunisia, Sudafrica, Tanzania.

In molti di questi paesi l’acquisto della cittadinanza dello stato di nascita è illimitata, ossia assolutamente automatica, come in quasi tutti gli stati americani. In altri paesi lo ius soli è “temperato”, ossia riconosciuto a certe condizioni, principalmente al permanere della residenza per alcuni anni (almeno 5), come in Francia e negli altri paesi europei. In tutti è segno di civiltà che accoglie e dà un futuro ai destini individuali, promuovendone il senso di appartenenza a quel territorio e alla sua comunità, favorendone la speranza di prosperità e piena qualità della vita.

Non così in Italia – paese tradizionalmente di emigrazione e non di immigrazione, salvo gli ultimi vent’anni – dove prevale ancora lo ius sanguinis, “diritto del sangue”: principio giuridico in base al quale ogni nuovo nato acquista la stessa cittadinanza dei propri genitori, indipendentemente dal territorio sui cui è nato. Solo per i casi-limite sopravvive un principio di ius soli: per nascita sul territorio italiano da genitori ignoti o apolidi o il cui stato di provenienza non consenta la trasmissione di cittadinanza. Per i casi ordinari, la cittadinanza dei neonati è quella dei genitori, e i figli degli stranieri possono acquistare la cittadinanza italiana solo dopo i 18 anni ed entro un anno, dichiarandone la volontà all’ufficiale di stato civile.

Per chi nasce in Italia da cittadini stranieri, ha senso aspettare così tanto? Ha senso che si frequenti prima la materna, poi le elementari, le medie, le superiori in qualità di stranieri diseguali? Parlando la stessa lingua, studiando le stesse materie e gli stessi argomenti, giocando gli stessi giochi, abitando sullo stesso pianerottolo, frequentando le stesse compagnie e gli stessi luoghi, vestendo allo stesso modo e consumando le stesse cose, cantando le stesse canzoni, tifando per la stessa squadra o mitizzando le stesse star della musica o del cinema, spesso condividendo anche la stessa religione e gli stessi luoghi di culto?

O è preferibile che per coerenza con il diverso stato giuridico si creino o si mantengano i ghetti, grandi e piccoli, territoriali e di costume: le case dei sudamericani o dei marocchini, i muretti degli africani, le compagnie dei cinesi, i campetti di calcio dei nigeriani, le strade dei tunisini, i bar dei moldavi o dei salvadoregni, i lavori degli albanesi o dei filippini o dei rumeni o delle ucraine? Un conto sono i negozi o gli abbigliamenti etnici per la conservazione delle tradizioni ritenute buone, altro conto la segregazione strisciante per pezzi di territorio, per schegge di usi e costumi, per specializzazioni professionali, con sottosistemi di relazioni reciprocamente isolazioniste.

La nuova legge approvata dalla Camera sulla cittadinanza dei minori stranieri, che introduce lo ius soli temperato, cerca di affrontare i rischi di disintegrazione sociale serpeggiante all’emergere e crescere delle disuguaglianze tra ragazzi italiani e stranieri. In Italia non è ancora massiccio il fenomeno delle seconde e terze generazioni di immigrati, che rende problematici i maggiori centri urbani d’Europa, ma è solo questione di tempo. La questione dell’integrazione è eminentemente sociale, e sconta le differenze di possibilità economico-lavorative tra immigrati e italiani; ma il differenziale giuridico rispetto ai diritti di cittadinanza è un’aggravante formidabile, perché ha una forte valenza simbolica sul sentimento identitario e di dignità personale dei ragazzi immigrati: significa essere estranei, tagliati fuori, con speranze ingabbiate. Un effetto psicologico collettivo di demotivazione all’integrazione.

Non che la nuova legge renda le cose facili o automatiche. La cittadinanza può essere riconosciuta ai ragazzi dopo non meno di 5 anni di percorso scolastico regolare, e può essere richiesta solo da un genitore in possesso del permesso di soggiorno “di lungo periodo” (a tempo indeterminato), che a sua volta presuppone condizioni onerose: aver goduto per almeno cinque anni di un permesso di soggiorno valido, avere un reddito non inferiore all’importo annuo della pensione sociale, avere un’abitazione idonea, aver superato un test di conoscenza della lingua italiana, con esclusione per le persone pericolose per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. Se il genitore non provvede, il ragazzo può farlo autonomamente dopo la maggiore età, con due anni di tempo (anziché uno come prima).

Si tratta in effetti di uno ius soli corretto dallo ius culturae, ossia subordinato all’integrazione culturale che può essere garantita dalla frequenza scolastica prolungata. Oltre ai ragazzi nati in Italia da immigrati di lungo periodo, la nuova legge estende infatti la concessione della cittadinanza a tutti i minori stranieri entro i dodici anni, sia nati in Italia sia immigrati dopo la nascita, se abbiano frequentato per cinque anni un corso di studi regolare (con esito positivo se si tratta della scuola elementare). La domanda può essere presentata da un genitore con regolare permesso di soggiorno (sempre subordinato a lavoro/reddito e abitazione, ma non di lungo periodo), oppure dal ragazzo stesso una volta maggiorenne.

Nella stessa logica dello ius culturae va l’estensione della naturalizzazione – ossia della trasformazione di cittadinanza – al raggiungimento della maggiore età, a discrezione del Ministero dell’Interno, per i ragazzi stranieri immigrati dopo i dodici anni di età qualora siano residenti da almeno sei anni e abbiano frequentato con esito positivo un intero ciclo scolastico-professionale.

Scandaloso? Regali immeritati a stranieri che non potranno mai integrarsi? Le polemiche politiche sulla nuova legge sono esplose con virulenza durante l’iter di approvazione alla Camera, e riesplose a fine estate in vista del passaggio definitivo al Senato, dove i numeri ballano e si è a pochi mesi dalle elezioni. Succederà che questi ragazzi, una volta riconosciuti italiani per nascita e fatiche scolastiche, si monteranno la testa e si daranno alla delinquenza più proterva, irriverente e feroce? O, piuttosto, sentendosi pienamente eguali daranno nuova linfa all’italianità, saranno nuovi italiani con tante varietà e ricchezze in più, derivanti da cultura e tradizioni dei genitori e delle loro terre d’origine, che si misceleranno originalmente con i tratti tipici di cultura e tradizioni degli italiani “storici”, che peraltro non sono mai stati italiani “puri”?

L’Italia, infatti, è bella e varia proprio perché è già – è sempre stata – frutto di miscellanee storiche millenarie, spesso originate con violenza da invasioni irruente che solo il tempo ha saputo mitigare e riassorbire, dando vita a sintesi sempre nuove e creative. Arti, letteratura, scienze, stili di vita, sistemi di relazioni, carattere collettivo derivanti dalle miscellanee hanno forgiato un comune denominatore nazionale ed infiniti sottosistemi regionali e locali. Senza quelle mescolanze non si sarebbe varesini come si è ora, lombardi come si è ora, italiani come si è ora, europei come si è ora, aperti ad essere cittadini del mondo come si è ora. L’immigrazione moderna dà la possibilità prima inesplorata, o rara, di integrazione pacifica, senza violenza. Al meglio se meglio governata, evitando i ghetti. La nuova legge sulla cittadinanza va in questa direzione, perché bloccarla per meschini calcoli elettorali di chi specula sulla paura del diverso? “

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