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Politica

VENTI D’EUROPA

EDOARDO ZIN - 22/09/2017

juncker

Jean-Claude Juncher

Il vento gelido del Nord, che ha soffiato imperterrito negli ultimi anni in Europa, ha creato danni cruenti alla costruzione della casa comune europea. Ha scoperchiato il tetto che riparava i condomini: l’appartamento della signora Gran Bretagna è stato distrutto sotto le raffiche di un referendum e i suoi residenti hanno dovuto sfollare, la parte del tetto che copriva diciassette appartamenti ha cominciato a dimostrare infiltrazioni piovose dovute alla crisi economica, hanno incominciato a sgretolarsi perfino le fondamenta rappresentate dalla solidarietà, dalla sovra-nazionalità, dall’unità, dalla concordia.

L’edificio intero rischiava di crollare se non fosse stato tempestivamente puntellato dai ponteggi del piano europeo degli investimenti, della riacquistata capacità patrimoniale necessaria per accordare prestiti alle imprese e dal calo dei disavanzi pubblici.

 Quel vento ora sembra si sia abbonacciato dopo gli imprevisti risultati delle elezioni nei Paesi Bassi, in Austria e in Francia, ha incominciato a cambiare direzione e nell’aria dell’Unione Europea corre un respiro nuovo, un vento leggero “che protegge, che dà forza, che difende. Occorre catturare questo vento nelle nostre vele e fissare la rotta per il futuro”: sono le parole che Jean-Claude Juncher, presidente della Commissione Europea, ha pronunciato davanti al Parlamento Europeo riunito nella storica sede di Strasburgo per ascoltare il discorso sullo stato dell’Unione, così come prevede il Trattato di Lisbona. Il favonio che soffia da ponente e il libeccio che giunge da sud danno segni di risveglio a un’Europa stanca, depressa. Juncker ne approfitta per invitare gli eurodeputati “a radunarsi attorno a comuni valori”. Non nega le difficoltà del passato recente e, citando Mark Twain, ricorda che “non saremo delusi delle cose che abbiamo fatto, ma di quelle che non abbiamo fatto”.

Juncker detta la sua tabella di marcia: un’Europa aperta ai commerci con gli altri paesi dai quali chiede reciprocità, promette un libero scambio tutt’altro che ingenuo e maggiore trasparenza per il controllo degli investimenti in modo da salvaguardare i consumatori “intenzionalmente e deliberatamente imbrogliati”, assicura che l’Europa farà da guida per i cambiamenti climatici (e anche Trump sembra aver cambiato idea in questo campo!), dichiara che l’Europa proteggerà i dati informatici nell’era telematica.

Rende omaggio all’Italia e alla Grecia che salvano l’onore dell’Europa nel soccorrere i migranti e contemporaneamente promette che l’Europa affiancherà i paesi del Mediterraneo per arginare i flussi irregolari, anche con il rimpatrio, e affiancherà le agenzie dell’ONU perché siano rispettati i diritti umani e la dignità di ogni uomo nei campi di raccolta in Libia.

“Il futuro non può essere deciso per decreto” – si esprime Juncker e aggiunge –: “ L’Unione Europea è più di un mercato, è un’unione di valori”. Si richiama alla libertà protetta dall’Europa in tutti i paesi membri e ad una lotta più dura contro il terrorismo, auspica l’uguaglianza di diritti tra tutti i bambini dei paesi membri (e non manca di lanciare una frecciata a quei paesi che non difendono con la vaccinazione contro il morbillo i loro piccoli), fra tutti i lavoratori che devono essere protetti da precise norme sociali, fra i consumatori che hanno il diritto di trovare prodotti non contraffatti, richiama il valore della forza della legge perché “l’Unione non è uno stato, ma una comunità di diritto”, spera che l’euro diventi la moneta di tutti i paesi che aderiscono all’Unione, boccia l’Europa “a due velocità” e spera che l’Unione europea di difesa diventi una realtà.

Sono buone intenzioni quelle del presidente Juncker, ma che – nonostante i suoi richiami ai valori anche con l’uso di orpelli retorici – portano tutte verso un’unione prettamente mercantilistica: la libertà sembra svigorirsi in alcuni paesi dell’Est che per anni hanno provato la servitù della dittatura sovietica, l’uguaglianza è schiacciata sotto il peso di quei paesi che sono alla ricerca di una leadership e da un consiglio europeo che oggi pretende di emergere sul parlamento e sulla commissione, il diritto non riesce ad affermarsi su quei paesi che violano palesemente il sistema comune d’asilo.

L’Europa “è grande nelle grandi cose, è piccola nelle piccole cose” afferma ancora Juncker, ma a noi pare che le istituzioni europee navighino ancora a corta distanza, non abbiano visioni ampie fino all’orizzonte, si accontentino dei compromessi. È vero che “l’Europa non si farà in un solo colpo” – come diceva Schuman – ma questo non è il “momento degli eccessi di prudenza, si avanza solo se si dà prova di audacia” – ha affermato di recente Romano Prodi. L’audacia vera si dimostra nella fedeltà a un serio impegno quotidiano – piccola cosa – più che non nel clamore di un discorso pronunciato a Strasburgo. L’impegno quotidiano è quello di non perdere la bussola che mira ad una stella polare: l’unità politica dell’Europa.

A Strasburgo ancora una volta si è tentato di mettere un tassello ad una vela ormai logorata dal tempo piuttosto che fabbricarne una nuova. Juncker è intenzionato a unificare il commissario agli affari economici e finanziari e il presidente dell’eurogruppo in un unico ministro europeo dell’economia e delle finanze. Ancora una volta si crea un ministro prima ancora di completare una comune politica economica che non può prescindere da quella bancaria, finanziaria e fiscale. Così si è fatto nel passato con la politica estera, nominando un Alto Rappresentante della politica estera europea, senza che l’Unione abbia una politica estera comune. È intenzione del presidente della Commissione di proporre l’ unificazione delle due cariche di Presidente della Commissione e di presidente del Consiglio Europeo in un’unica persona: il che ci sembra un’ottima proposta a patto che la carica non venga affidata ad un politico, ma ad un uomo che onora con i suoi scritti e la sua opera la cultura multiforme dell’Europa. Un unico capitano potrebbe essere colui che porta in porto la nave Europa!

Ci trova pure consenzienti l’elezione di 73 eurodeputati su collegi transnazionali: rappresenterebbero l’Unione (o la federazione, che dirsi voglia), mentre gli altri rappresenterebbero gli stati membri. La nostra esultanza è mitigata però dal fatto che a questa soluzione si è arrivati non per motivi ideali, ma pragmatici: per occupare gli scranni dell’emiciclo lasciati liberi dagli eurodeputati britannici! Sono le istituzioni necessarie che producono buone politiche, quelle superflue producono solo inutile burocrazia.

Siamo alle solite: continua la sempiterna intergovernabilità e non arriva la federazione di stati. Se dobbiamo levare l’ancora, abbandonare i porti sicuri e catturare il vento favorevole alle vele dell’Europa – come si è espresso Juncker – dobbiamo ascoltare la voce del vento favorevole, il cui respiro potrebbe far rivivere l’Europa purché esso non spenga la fiammella della speranza e ravvivi il fuoco delle idealità.

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