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Urbi et Orbi

RITORNO A MEDJUGORJE

PAOLO CREMONESI - 29/09/2017

medjugorieTorno a Medjugorje con mia moglie dopo trentaquattro anni. La prima volta fu nell’83, una tappa nel viaggio di nozze tra Grecia e Jugoslavia.

Le apparizioni erano iniziate da un anno e mezzo e don Giussani a chi si recava da quella parte, per lavoro o altri motivi, raccomandava di “andare a vedere cosa succedeva”. Giovanni Paolo II aveva appena rifilato ai vescovi italiani riuniti in assemblea una delle sue ramanzine: “Ma come? – aveva domandato stupito – La Madonna appare a trecento chilometri dal vostro paese e nessuno di voi è ancora andato a guardare?”.

Bosnia: c’erano solo rocce, arbusti e cavalli. Nessun albergo: per dormire si tornava a Mostar. Tanti militari qua e là. Davanti alla grande chiesa costruita nel ’36 dopo un terremoto, esagerata per le esigenze di un borgo sperduto di poche centinaia di abitanti, un piccolo sgangherato chiosco vendeva ‘pita’, wurstel, spiedini di agnello e birra. Faceva un gran freddo e avevamo il terrore di non trovare gasolio per la macchina.

Di quel viaggio ricordo il clima di preghiera che si respirava tra le case decrepite del paese. Avevamo assistito anche a una apparizione di Maria al gruppetto di cinque in sagrestia. Durante la recita dei sette Pater, Ave e Gloria si erano inginocchiati contemporaneamente, iniziando a guardare un punto fisso e a muovere silenziosamente le labbra. I volti erano radiosi, intorno solo silenzio. Se fossero stati attori avrebbero dovuto esercitarsi per anni.

E poi un incontro con Vicka, che allora aveva diciannove anni: una esuberante adolescente come tante ci aveva accolto a casa sua.

Ritrovo la stessa fede oggi che Medjugorje è diventata una città. Hotel, ristoranti e negozi hanno preso il posto dei prati. Tanti lavorano nell’indotto creato dalle migliaia di pellegrini che da tutto il mondo (Libano, Nigeria, Giappone, Stati Uniti oltre ovviamente all’Europa) arrivano in questo sperduto posto ora collegato a Spalato da una veloce autostrada.

Con Michele che all’epoca aveva 14 anni ed era compagno di scuola di Jakov, uno dei veggenti, ricostruiamo quanto accadde il 24 giugno 1981. “Quel giorno era la ricorrenza di San Giovanni Battista, festa nazionale in Jugoslavia. Di solito noi ragazzi ci si trovava a giocare a calcio in una spianata fuori paese. Venivano a vederci le ragazze anche da fuori. Quel giorno però la tv trasmetteva un’importante partita di basket e così siamo rimasti tutti a casa. Ivanka e Mirjana, due amiche stanche di aspettare, si inerpicarono sulle pendici del colle Podbrdo dove sapevano esserci alcune pecore. E lì verso le quattro del pomeriggio ebbero la prima apparizione. Corsero impaurite nel paese e incontrarono alcuni che erano usciti di casa nell’intervallo della partita. Raccontarono e tornarono in gruppo sul colle. Erano Mirjana Dragicevic, Milka Pavlovic, Ivan Dragicevic, Ivanka Ivankovic e Vicka Ivanko.

L’apparizione si ripeté con lo stupore misto a paura (nessuno di loro per esempio aveva mai sentito parlare di Lourdes) per la visione di quella bella giovane donna sospesa a trenta centimetri da terra. Ivan per esempio corse a casa e si nascose sotto il letto”.

Quel giorno non è considerato come l’inizio dei messaggi perché la Madonna non parlò ai ragazzi. È quello che invece farà il giorno dopo, 25 giugno, quando il gruppetto ritorna sul posto.

“Mia sorella lavorava nei campi – racconta Marija Pavlovic – e così al suo posto ci andai io. La vedevo benissimo. Era molto lontana da noi, forse un chilometro e anche più, ma avevo l’impressione che quella persona mi fosse vicina. La vedevo come se guardassi con un binocolo. Rapita dalla bellezza di quell’immagine, caddi in ginocchio insieme alle altre ragazze e ai ragazzi che vedevano quello che vedevo io. La Madonna ci fece un gesto con la mano come per invitarci a raggiungerla. Ma nessuno di noi si mosse. Avevamo paura. Ci consultammo e decidemmo di non andare. La Madonna attese un poco e poi ripeté il gesto d’invito. Allora ci alzammo e cominciammo a camminare verso la cima della collina. Il luogo è tutto pietre, cespugli intricati e rovi, non esistevano sentieri. Camminare era un’impresa. Noi eravamo scalzi. Eppure correvamo senza sentire i sassi aguzzi o le spine. Dietro di noi c’erano i nostri parenti e i curiosi. Alcuni uomini ci hanno poi raccontato che loro, adulti, molto più robusti di noi e con le scarpe ai piedi non riuscivano a tenerci dietro”.

Oggi si discute molto sul futuro di Medjugorje. Secondo alcuni, dopo l’indagine del cardinal Ruini, l’inviato di Papa Francesco, monsignor Hoser potrebbe proporre il riconoscimento delle prime apparizioni (come è noto i messaggi di Maria continuano anche ai giorni nostri in tempi e forme diverse). Ma in attesa delle decisioni vaticane la parrocchia gestita dai francescani locali continua a proporre una semplice e forte esperienza di fede, fatta di messe, rosari, vie crucis e catechesi condotte in maniera sobria ed essenziale, lontana da misticismi esasperati o spiritualismi esaltati.

Per questo oggi Medjugorje è indicata nel mondo come il luogo della conversione dei cuori.

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