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Cultura

L’ATTUALISMO DI GENTILE

LIVIO GHIRINGHELLI - 06/10/2017

gentileLa rapida scomparsa dell’idealismo gentiliano nel secondo dopoguerra dall’orizzonte del pensiero rispetto al grande seguito registrato nella cultura e nell’insegnamento universitario nella prima parte del secolo non induce certo a sottovalutare l’importanza del suo attualismo nel campo della pedagogia e della riforma attuata in campo scolastico (se ne avverte ancora significativa l’eredità).

Nato a Castelvetrano nel 1875 Gentile si forma nella tradizione di Bernardo Spaventa e si orienta verso il principio di una riforma dell’hegelismo in direzione soggettivistica (La riforma ella dialettica hegeliana, 1913). Indirizza Croce all’approfondimento della filosofia hegeliana, allontanandola dall’herbartismo giovanile (influenzato da Antonio Labriola).

Dà un’interpretazione in senso attivistico del marxismo (La filosofia di Marx, 1899), prassi come produzione soggettiva dell’uomo). A fianco di Benedetto Croce conduce un’efficace battaglia contro il positivismo imperante, collaborando intensamente alla rivista “La critica”.

A partire dal saggio del 1912 “L’atto del pensiero come atto puro” Gentile sviluppa il suo sistema filosofico, incentrato sulla “Teoria generale dello spirito come atto puro” (1916) e sul “Sistema di logica come teoria del conoscere” (1917-1922).

Docente universitario a Palermo, Pisa e Roma, si fa nazionalista e interventista all’epoca del primo conflitto mondiale; aderisce poi al fascismo, ritenuto erede del Risorgimento e antagonista dell’atomismo individualistico attribuito al liberalismo. Diventa, dopo Croce, ministro della Pubblica istruzione.

La sua riforma scolastica invero è stata in gran parte concepita, in precedenza, da Croce. Con la crisi successiva al delitto Matteotti Gentile firma nel 1925 il Manifesto degli intellettuali fascisti, cui Croce contrappone quello degli antifascisti: è lo scisma definitivo tra i due pensatori.

Gentile diventa definitivamente un uomo di potere. Al momento della costituzione della Repubblica sociale otaliana nel 1943 rinnova la sua adesione all’ideologia totalitaria e al regime, ne consegue il suo barbaro assassinio a opera delle milizie partigiane (1944).

Per Gentile la natura non è più letta hegelianamente come opposto reale dello spirito e l’idea viene risolta non più nella trascendenza divina, ma all’interno del pensiero. Essere, nulla, divenire non rappresentano più posizioni logiche obiettive del reale, ma momenti della coscienza in atto, del pensiero pensante. Il pensiero è un atto che non può mai oggettivarsi completamente, deve incessantemente inglobare l’alterità, consumando le scorie empiriche e individualistiche.

Si tratta di un’energia che si scarica e si degrada, che tuttavia perennemente risorge dalle proprie ceneri. Il soggetto ha necessità di oggettivarsi per potersi affermare quale soggetto, tornando a risolvere in sé ogni oggettività. Il pensiero pensante è l’unica realtà. Il pensiero in atto è infinito e onnicomprensivo, creativo di sé (autoctisi) e libero. Caratteristiche che appartengono all’Io puro, trascendentale, universale, non alla singolarità dell’io empirico, diverso nei vari individui; gli altri entrano nell’esperienza del soggetto pensante quali oggetti di esso o in quanto l’alterità degli individui empirici si risolve nell’unità superindividuale del soggetto universale (qui la vita morale autentica).

La natura e la storia non devono essere pensati come esteriori al pensiero, sono invece prodotti dall’attività stessa dell’Io. Quanto alla natura è una finzione su cui operano le scienze empiriche, che risultano del tutto astratte rispetto alla filosofia. La natura, spirito essa stessa, suo momento dialettico, non entità a sé concepita astrattamente (com’è delle scienze naturalistiche), è il non essere dello Spirito, onde l’errore, in ambito teoretico, il male e il dolore in ambito pratico, momenti dialettici privi di propria autonomia. Lo spirito è autoposizione di sé, una autoposizione non statica, bensì dinamica e concreta, dunque dialettica. E nella sua dialettica di unificazione/moltiplicazione crea lo spazio e il tempo (interni, non esterni allo spirito).

Le forme spirituali più alte per Gentile sono l’arte, la religione e la filosofia in uno schema triadico. L’arte si riferisce al dominio della soggettività libera e ingenua; la religione nella sua oggettività radicale annulla ogni soggettività di fronte a un oggetto assoluto (si tratta comunque di una religione dell’immanenza; al Dio della teologia, forma mitica, è anteposto lo spirito, immanente nell’uomo e nella storia). Il loro inveramento è nella filosofia, che supera la loro opposta unilateralità.

Sul piano pedagogico Gentile propone la tesi dell’identità di educatore e educando; la loro contrapposizione è solo apparente, essendo due momenti di un’unica realtà: l’universale, lo spirito.

Si tratta di un processo di reciproca autoeducazione. L’uno attraverso l’altro forma un se stesso migliore e più alto. Opera tra le sue più felici “Genesi e struttura della società” (estate 1943, uscita postuma nel 1946). Lo Stato etico è lo scopo supremo cui tende una comunità, strumento della fusione completa e senza residui degli individui in un tutto organico. Non si realizza nel mero esse inter homines, ma soprattutto in interiore homine.

Noi siamo lo Stato, in fondo all’io c’è un noi, alla base dell’io si può riscontrare una sorta di originaria socialità. Ogni pensare è un dialogare simultaneo con sé e con l’altro da sé, che non è soltanto in noi, ma è Noi. Come il singolo non è pura libertà, così lo Stato non è pura costrizione. Il che significa che la natura dello Stato etico non concede al soggetto alcuna reale autonomia: l’autorità soffoca la libertà.

Gentile nega qualsiasi distinzione tra il conoscere e il volere. Il pensiero in atto è già attività, la conoscenza è insieme prassi e viceversa. La filosofia non è soltanto conoscenza, ma direttamente vita. La storia della filosofia è immanenza come processo di pensiero, come puro atto. Mentre per Gentile la dialettica rimane un processo tra opposti, risolti nel pensiero soggettivo in atto, come momenti di unità, per Croce è un nesso di distinti (arte, filosofia, economia, etica), reciprocamente autonomi, unificati soltanto dal processo circolare dello spirito (dialettica dei distinti).

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