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Cultura

RESISTENZA POETICA

RENATA BALLERIO - 06/10/2017

cappelloAnche se distratti dal frullatore mediatico per cui spesso le notizie si confondono e si autodistruggono nel nostro, quasi anarchico,cervello, a qualcuno sarà capitato in questi giorni di leggere un intenso commento. “La sua poesia, in particolare quella giovanile, ha lasciato testimonianza di cosa significa essere giovane e avere un legame viscerale e ambivalente con la propria terra di origine, in cui si è costretti a restare per cause di forza maggiore”.

Questa riflessione è oggi un necrologio per Cappello, Pierluigi Cappello, morto domenica 1 ottobre. Qualcuno si chiederà chi fosse: era un uomo di cinquantanni, un poeta friulano. Costretto da quando aveva sedici anni su una sedia a rotelle a seguito di un incidente in moto, ha trasformato la sua immobilità in opportunità: opportunità di pensiero, di libertà di parola, bisogno di non fermarsi alle apparenze. Disse di aver trasformato il suo letto in un tappeto volante e seppe anche scrivere bellissimi versi per bambini ( e per chi ha dentro di sé la magia infantile), facendo ballare il tango alle gocce d’acqua.

Qualcuno scriverà per alcuni giorni necrologi culturali, che qualcuno tra l’indifferenza quotidiana non leggerà o leggerà frettolosamente per gettarli ancora più velocemente nelle zone ombrose della memoria. Anche Jovanotti ha scritto di lui, molti ne parlano già di uno dei più grandi poeti italiani. Forse pochi, come capita, lo conoscono. Certamente tutti abbiamo diritto all’ignoranza ( e poi siamo nell’epoca in cui raramente al diritto corrisponde un consapevole dovere), ma è eticamente doveroso ( in realtà ogni dovere è etica agita) ricordare i versi di questo coraggioso poeta friulano.

Tutti i veri poeti sono testimoni del coraggio della parola, ma Pierluigi ( ed è giusto chiamarlo per nome, come quando ci si rivolge ad un amico) è stato davvero coraggioso. Leggiamo, dunque, alcuni suoi versi; magari, liberiamo dentro di noi il desiderio di conoscerlo meglio, augurandoci che la scuola lo faccia amare, senza imbalsamarlo in stereotipi didattici. Non lo merita. Merita, invece, amare la sua capacità di farci guardare l’anima. Scrisse: E io dico che mi piace la parola amen perché sa di preghiera e di pioggia dentro la terra e di pietà dentro il silenzio ma io non la metterei la parola amen perché non ho nessuna pietà di voi, perché ho soltanto i miei occhi nei vostri e l’allegria dei vinti e una tristezza grande. Forse ora merita un vero, autentico amen di accettazione alla vita. In una intervista dichiarò che la poesia è una forma di resitenza perché ti insegna a sentire le cose senza appropriartene: illumina le cose da dentro e le libera. La vera poesia in qualsiasi modo si esprima è sempre fuori dal mercato. Per questo è pericolosa e disturba il potere.

Ti siamo grati, poeta vissuto nella terra di Gemona, di ricordarcelo perché così ci continui a donare un ben altro terremoto: quello di scuotere le nostre coscienze. Forse dissentiamo da una tua particolarissima sciabolata per cui hai affermato che chi non sopporta il vino è costretto a sopportare la vita ma ti ringraziamo della tua poetica parola dialogica che ci fai provare passione per la vita.

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