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Attualità

“LOS VON ROM”

MANIGLIO BOTTI - 13/10/2017

OLYMPUS DIGITAL CAMERALo svolgimento del referendum indipendentista in Catalogna per il distacco della regione catalana dalla Spagna ha aperto la strada a altre vecchie e nuove rivendicazioni. Qualche giorno fa sui social compariva la foto di Eva Klotz, ormai attempata leader dei movimenti separatisti altoatesini: e adesso – si spiegava nelle didascalie sotto la sua foto di “tedescotta” sempre vestita con il classico Dirndl, il costume femminile sudtirolese – tocca a noi. Vale a dire: italiani, vi faremo un mazzo tanto.
Come se la questione altoatesina e quella catalana fossero uguali. Simili, forse. Ma neanche molto. Perché mentre la Catalogna (cioè una minoranza di cittadini catalani, stando anche all’ultima contestatissima consultazione) si dichiara in forma repubblicana autonoma e indipendente dalla Spagna, l’Alto Adige o Südtirol che dir si voglia s’è sempre battuto per un’annessione all’Austria, specie dal 1945 in avanti. E se poi alla fine Alcide De Gasperi, che era un trentino, riuscì a mantenere quei confini intatti, cosa che non gli riuscì sul fronte orientale, dinanzi ai comunisti jugoslavi di Tito, fu perché l’Austria, in fondo risultava essere un paese sconfitto, tanto quanto lo era l’Italia, e forse di più. Il fatto che anche il Südtirol fosse sempre stato un ottimo terreno di coltura per le SS di Hitler, dopo l’Anschluss, cioè l’annessione dell’Austria alla Germania nazista nel 1938, almeno da un punto di vista psicologico fece il resto.
Il ritorno a casa e il famoso Los-Von-Rom, il via da Roma, d’altra parte erano sempre stati gli obiettivi sui quali Georg Klotz, il padre di Eva, la prima dei suoi sei figli, aveva improntato la propria vita. Per chi, italiano, anche distrattamente ha fatto il servizio militare in Alto Adige, il nome di Klotz si ricorda ancora meglio o con maggior timore di quello di Silvius Magnago, fondatore e capo del Südtiroler Volkspartei, il partito che poi dal ‘45 si oppose al centralismo italiano. Entrambi – Klotz e Magnago – avevano servito la “patria” combattendo durante la seconda guerra mondiale nella Wehrmacht. Magnago fu in Russia, dove venne ferito e dove gli fu amputata una gamba.
Ma mentre quest’ultimo, meranese, scelse poi la strada della politica, che percorse sempre in modo intelligente e accorto, l’altro bazzicò le strade più avventurose e sanguinose del terrorismo, passando alla storia come “il martellatore della Val Passiria”. Alla fine degli anni Sessanta – raccontano le cronache – fu condannato in contumacia a Milano a una cinquantina di anni di carcere, che non scontò perché morì poco prima della sentenza, per vari e gravi reati, ma soprattutto perché gli fu riconosciuta dal Tribunale una parte importante nella strage di Malga Sasso (Brennero, settembre 1966) nella quale rimasero uccisi tre finanzieri, dei quali – visto che s’è ricordato spesso Georg Klotz – sarebbe se non altro doveroso ricordare almeno anche il loro nome: Franco Petrucci, Herbert Volgger e Martino Cossu.
La storia della questione altoatesina è diversa e molto più recente, sotto certi punti di vista, da quella catalana. Risale, quanto meno, al dicembre del 1918, dopo la vittoria dell’Italia nella prima guerra mondiale contro gli imperi centrali. Non che, in qualche modo, le “grane” non fossero state previste. Infatti, il problema sorse quando si dovettero stabilire i confini. Vi fu chi suggerì la Stretta di Salorno, in pratica là dove s’inizia il confine entico, cioè dove si comincia a parlare tedesco (che poi non è un Hauptdeutsch, ma un dialetto spesso incomprensibile agli stessi tedeschi). Chi va a sciare in Val di Fassa o in Val di Fiemme lo scopre subito nel notare il bilinguismo nei cartelli autostradali: Egna-Ora diventano Neumarkt-Auer.
Non prevalse, allora, la tutela etnico-linguistica, prevalse invece – e forse anche giustamente da uno stretto punto di vista geografico – la “conquista del territorio”, e dunque lo spartiacque alpino venne considerato un confine naturale e la valle dell’Adige interamente italiana. Così i “Fines Patriae”, come si cita nel monumento realizzato lassù da Marcello Piacentini, monumento che fino all’altri ieri qualcuno avrebbe voluto abbattere anche a colpi di tritolo, vennero posti a Bolzano.
Il cosiddetto processo di italianizzazione compiuto in epoca fascista – che non può essere davvero ricordata come un’epoca di ricerca di integrazione e di tolleranza – fu un vero sfracello. Anche una tragedia. E, presumibilmente, il problema degli altoatesini – gente orgogliosa ma pacifica e laboriosa – cominciò da lì.
Siamo andati avanti per più di mezzo secolo (escludendo gli anni del fascismo perché l’Alto Adige era ancora frastornato). Fino al nuovo pronunciamento dell’altro ieri della signora Klotz. Non ripercorriamo la storia politico-diplomatica degli ultimi anni. Il famoso “pacchetto alto-atesino”, firmato a cavallo degli Sessata e Settanta, è passato attraverso in vaglio di commissioni e organizzazioni internazionali. Magari ci fu qualche ritrosia nell’applicazione e qualche eccesso “idealistico” dall’altra parte. Gli attentati, sempre scemando, sono andati avanti fino agli ultimi anni Ottanta. Poi – come è stato detto – i problemi in qualche modo si risolvono. La prima ragione è che le persone invecchiano, e anche da parte dei più esagitati, si arriva a preferire il fuoco del caminetto e lo scoppiettio del ceppo, invece di quello delle bombe di tritolo poste sotto ai tralicci. La seconda ragione, e probabilmente la più importante, è che per non sentire e non vedere lo Stato italiano con i soldi di tutti gli altri suoi cittadini ha messo mano con decisione al portafoglio.
L’Alto Adige (o Südtirol) con tutti gli aiuti, i benefici, le tutele, le agevolazioni fiscali e no è diventato una sorta di Paese dei Balocchi. La Brigata alpina Orobica è stata sciolta e a presidio di questo “fronte” è rimasta solo la Tridentina (comando a Bressanone-Brixen). Non è un caso che alcuni paesi del Veneto, di recente, abbiano lavorato per essere aggregati agli altoatesini. A ben vedere, oggi, i diseredati e i dimenticati non sarebbero più i cittadini di etnia tedesca (circa il 70 per cento) ma il 30 per cento di italiani che vennero qui a vivere in altre epoche, sperando in futuro migliore.
Ma la signora Eva Klotz della Val Passiria insiste: tocca a noi! Va beh, faccia pure i suoi passi avanti. Con coerenza, però. Qualche tempo fa s’era letto che aveva preso dallo Stato italiano (per i suoi trascorsi di consigliera regionale e provinciale) qualcosa come circa un milione di euro con lauta pensione compresa. Non risulta che, continuando anch’ella a perseguire l’obiettivo di andare via da “Roma ladrona”, abbia nobilmente rinunciato ai suoi “trenta denari”. E forse qualcosina di più, al cambio attuale.

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