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Urbi et Orbi

L’IMPREVIDENZA CHE ÌMPERA

PAOLO CREMONESI - 13/10/2017

Il parco degli Acquedotti a Roma

Il parco degli Acquedotti a Roma

Augurandomi di essere smentito nel lasso di tempo che intercorre tra la scrittura di questo pezzo e la sua pubblicazione, parto da una semplice ma dura constatazione: a Roma non piove da settimane.

Non è accaduto durante i cento giorni di una delle estati più calde a memoria d’uomo. Non succede ora dopo l’unico violento nubifragio del 10 settembre scorso.

E se a luglio e agosto la prolungata siccità ed il progressivo calo del livello del lago di Bracciano (da cui la capitale attinge gran parte delle sue risorse idriche) avevano costretto i media ad accendere i riflettori sul problema, ora l’assenza di precipitazioni non sembra interessare più di quel tanto i giornali.  Solo due mesi fa si paventavano razionamenti notturni, rifornimenti con cisterne, vasche condominiali per il recupero dell’acqua piovana. Ora siamo tornati a comportarci come ai tempi delle vacche grasse: gli sciacquoni svuotano a pieno ritmo, gli autolavaggi puliscono e disperdono acqua come se niente fosse, i 2500 nasoni zampillano giorno e notte Pochi quelli dotati di un rubinetto regolatore.

Eppure qualche segnale di preoccupazione dovrebbe essere colto. Basta passeggiare per esempio in uno dei tanti parchi di Roma. Il colore dominate è il marrone chiaro. L’erba è pallida e rinsecchita. Sui Lungotevere i platani hanno già perso da settimane le foglie e più di una volta mi è capitato la notte di imbattermi in due o tre volpi abbeverarsi ad una pozzanghera mentre sono tornati a farsi vedere i cinghiali a nord e sud della capitale.  Una acquosa e poco convinta nebbiolina che ci saluta all’alba non sembra davvero in grado di rinvigorire il verde pubblico.

Ai mercati rionali il prezzo della frutta e della verdura è intanto salito del 4-5 per cento; colpa dell’irrigazione si giustificano i contadini mentre lungo le consolari sono ancora esposte senza che alcuno vi abbia posto riparo ferite dei devastanti incendi di questa estate. “L’albero morto non da riparo e l’arida pietra suono d’acqua” scriveva anni fa Thomas Eliot.

Nessuno per ora sembra porsi particolari domande, forse confidando nei mesi invernali ma l’incuria generale nella distribuzione dell’acqua della capitale appare ancor più paradossale in una città che fece della gestione idrica uno dei suoi punti di forza di grande metropoli del mondo. Abbeveratoi, arcate, condutture in pietra testimoniano della perizia costruttiva degli antichi romani. Gli uomini e gli schiavi di Cesare garantivano una portata di tredici metri cubi d’acqua al secondo che riforniva terme, vespasiani, fontane e piscine.  Basta visitare il parco degli Acquedotti, tra la Tuscolana e l’ Appia Nuova , per ammirare gli spettri di sette degli undici impianti costruiti nei secoli imperiali.

Paginate pubblicitarie di Acea (la municipalizzata dell’acqua) ci informano che per tutta l’estate i tecnici dell’azienda hanno aggiustato gran parte dei buchi della rete idrica colpevoli, pare, di un 40 per cento di dispersione ma intanto gli annunci di campagne di sensibilizzazione per un uso sostenibile dell’acqua nei condomini e nei giardini sono scomparsi. Ricompariranno alla prossima crisi idrica. Come è di questa città abituata sempre a cullarsi sugli allori e a pensare che per affrontare una emergenza c’è sempre tempo.

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