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Opinioni

REFERENDUM/2 L’OCCASIONE

GIUSEPPE ADAMOLI - 20/10/2017

referendumOggi il regionalismo e il sistema delle autonomie sono in crisi. Naturalmente alcune Regioni sono gestite meglio di altre ma questo dipende dalla qualità delle classi dirigenti e dal grado di maturità culturale e sociale delle rispettive comunità regionali. La Lombardia, ad esempio, conserverà sempre un certo grado di efficienza da chiunque sia guidata mentre le differenze, anche molto rilevanti, si riscontreranno nell’indirizzo politico che viene seguito.

Difficile dire quando l’involuzione autonomista sia cominciata ma una data è ipotizzabile, la grande crisi economia e finanziaria di dieci anni fa con il lento accentramento dei poteri a Roma. Durante queste gravi turbolenze lo Stato taglia pesantemente le spese sul territorio e pochissimo quelle gestite direttamente dai ministeri anche se è proprio lì che si annidano i maggiori sprechi.

Le realtà territoriali dentro questo processo hanno meno risorse a disposizione. Il che può essere un’occasione per razionalizzare la spesa, e in parte lo è stata, ma se questa fase continua lungamente molte infrastrutture e servizi pubblici ne risentono, i cittadini giustamente protestano e imputano la colpa alle amministrazioni locali e territoriali. Così la burocrazia centrale si potenzia ulteriormente e ringrazia ma è preferibile un amministratore eletto ad un burocrate senza volto.

Per la verità anche la riforma costituzionale del 2001 (del centrosinistra per essere chiari) aveva già contribuito ad avviare le Regioni su un cammino difficilmente percorribile attribuendogli funzioni ingestibili che avrebbero dovuto restare in capo allo Stato (grandi infrastrutture ecc.). La successiva riforma dell’anno scorso avrebbe rimediato a questi eccessi ma è stata purtroppo bocciata il 4 dicembre. Quella riforma manteneva l’art. 116 della Costituzione sulle maggiori forme di autonomia che il referendum regionale chiede di attuare.

Di tutto questo nella campagna referendaria si è parlato poco o niente. Colpa primaria di Maroni, della sua maggioranza e dei Cinquestelle che hanno indetto un referendum inutile. Ma una volta legalmente indetto perché sprecare l’occasione per discutere della Regione, delle autonomie territoriali, del rapporto con Roma, del centralismo rampante?

Non dimentico affatto le mistificazioni della Lega la quale lascia capire che il referendum potrebbe essere il primo passo verso lo Statuto speciale, nonché l’occasione per far restare i soldi dei lombardi in buona parte in Lombardia e ottenere le competenze sull’immigrazione e sulla sicurezza. Cose false e impossibili che si combattono però con un aspro confronto chiarificatore che è largamente mancato.

Necessario restare ancorati ai quesiti del referendum. È innegabile che la Lombardia con il bilancio in ordine e una forte vocazione innovativa può ben ricevere più funzioni (e relative risorse) in settori come l’istruzione e il lavoro, l’ambiente e il territorio, i beni culturali e altro ancora fissato in Costituzione. È un modo per accendere una sana competizione fra i sistemi regionali e per aiutare molte Regioni del centro-sud ad accettare la sfida della maggiore efficienza mitigando l’assistenzialismo statale.

Per invertire la rotta delle autonomie in crisi, l’applicazione dell’ormai famoso art. 116 della Costituzione sarà molto utile. È sempre stata la proposta del centrosinistra e mai, in passato, della Lega che la faceva polemicamente a pezzi. La furbizia di Maroni non cancellerà questa storia e il centrosinistra sarà al tavolo del negoziato con il governo. Lo sta dimostrando Giorgio Gori, il candidato che sfiderà Maroni e che vota Sì al referendum. I presidenti cambiano, le Istituzioni restano.

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