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Noterelle

MEDICINA DEL CONFORTO

EMILIO CORBETTA - 03/11/2017

malatoIl medico disse “Vede, lei è portatore di una malattia cronica”. Il tapino aggiunse “Oh, cavoli! Allora mi tocca una sofferenza cronica”. Ci si trova di fronte a un notevole, reale stato di disagio per il soggetto portatore di “malattia cronica”, un malato cioè che non guarirà mai, di cui parlano epidemiologi, scienziati, economisti, politici che normalmente sono in ottima salute per cui, con disinvoltura, ne discutono senza perfetta cognizione di causa, perchè non è realmente facile “mettersi nei panni” di chi sta soffrendo.

Talvolta il portatore della malattia cronica non ha perso completamente l’autonomia, non si vede sul suo volto la sofferenza che però c’è, non si vede la difficoltà dei movimenti, la difficoltà di fare un discorso, la sofferenza interiore di sentire fuggire il tempo, l’allontanarsi della capacità di corrispondere agli affetti, il trionfare della mestizia. Tutti fattori questi che non possono entrare nelle righe dei bilanci, delle statistiche epidemiologiche, nei progetti della sanità pubblica. L’essenza delle personalità resta lontana dai calcoli dei computer, dai tavoli delle scrivanie. Non ci sono ditte capaci di fornire il rimedio, ossia confezioni piene di sorrisi, carezze, bonomia, parole giuste al momento opportuno. Il conforto non è commercializzato a chilogrammi.

I farmacologi hanno studiato molecole che possono entrare nei sistemi funzionali dei nostri neuroni, rimediando ai loro attriti, ma non possono sostituire la parola che può avere effetti positivi uguali se non superiori, come mostrato dalle Risonanze Magnetiche funzionali.

Le persone che sono concretamente in contatto con i sofferenti sono i medici, ma più ancora gli infermieri ed il personale con mansioni apparentemente più umili, quelle quotidiane, se così le possiamo definire. Il personale la cui tuta di lavoro è la giacca e cravatta, che lavora e si spende dietro le scrivanie, è importante, ma non è a diretto contatto con il sofferente. Lui le persone le ha sulla carta, ma riesce a vedere che dietro quel foglio, dietro quelle righe dei bilanci, nell’ombra delle pratiche burocratiche ci sono esseri umani? È una cosa non facile perchè richiede una intelligente attenzione specifica. Per raggiungere questa sensibilità si richiedono continuo studio e meditazione preparatoria,così come il personale, che è accanto al malato, deve essere assistito, preparato, educato, sensibilizzato affinchè riesca ad assistere bene e nel modo dovuto i pazienti. Non deve essere sfruttato con l’imposizione di situazioni stressanti, anche se queste permettono risparmi. Ma chi ha questo compito? Chi deve premurarsi di ben preparare continuamente il personale addetto alla sanità? Ci vorrebbe una specie di Spirito Santo? Quasi …. Dovrebbe essere compito delle Direzioni Sanitarie, ma questo è un discorso difficoltoso che per ora abbandoniamo. Intanto le sofferenze croniche dei nostri permangono, esasperate talvolta dalle decisioni di quelli dietro le scrivanie e diciamolo pure, dai politici eternamente a caccia di consensi.

Noi abitanti di Varese abbiamo vissuto amare esperienze per insuccessi dirigenziali e politici in questo settore: disavventure economiche e legali ci hanno tolto La Quiete, i letti ospedalieri necessari per le nostre necessità sanitarie da tempo son lontani dalla quota calcolata utile, il Molina si è imballato in tristi “fuori giri” economici e gestionali, altre strutture del territorio suscitano pesanti critiche in chi ha dovuto frequentarle, l’olografia del territorio e le epidemiologie del passato hanno fatto sorgere numerose piccole strutture ospedaliere costose, attualmente di non facile gestione e futura programmazione.

Tutta negativa la realtà? In effetti sembra mancare il necessario sinergismo tra le strutture pubbliche e private, entrambe finanziate totalmente o in gran parte dai soldi regionali. Appare superato il vecchio disegno “formigoniano” di ottenere l’ottimo basandosi sulla concorrenza tra i due settori pubblico – privato (fu progetto teorico osteggiato dal pensiero “bindiano” ed epici furono i confronti tra la Bindi e Formigoni) per cui il funzionamento delle due strutture richiede un disegno di utilizzo nuovo per evitare disfunzioni e sprechi limitando le grame afflizioni che ci piovono addosso.

Spesso poi progetti elaborati da persone con idee in contrasto con le argomentazioni esposte sopra, attratte da scopi economici piuttosto che assistenziali, dimenticano i sofferenti cronici. Essi, in giacca e cravatta, come detto, dentro le righe vergate sui bianchi fogli impilati sulle loro scrivanie, o nelle fredde luci dei loro “desktop” le persone le sanno vedere, ma con finissime strategie la loro ‘intelligenza dirigenziale” si accanisce volutamente a sfavore “dei vecchi”, creature talmente provate da essere incapaci di lamentarsi con efficacia e d’imprecare anche con contumelie figuratamente anatomiche, se non addirittura blasfeme.

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