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Società

I MOBILI ALESINI A NOLO

CESARE CHIERICATI - 10/11/2017

IFCapita talvolta che lo storico quotidiano locale inserisca copie anastatiche di lontane se non lontanissime edizioni della “Cronaca Prealpina”, così si chiamava in origine. Sono pagine di inserti pubblicitari che in genere si riferiscono a un arco di tempo compreso tra gli inizi del novecento e la fine della seconda guerra mondiale. Molto inchiostrate di nero non attirano immediatamente l’attenzione, si tende a saltarle dopo un’occhiata frettolosa. Quelle lontane pagine narrano invece l’ieri e l’altro ieri commerciale di Varese, tasselli di storia economica che hanno contribuito a far crescere quella che, fino alla metà degli anni venti del secolo scorso, era solo una promettente periferia ovest della provincia comasca.

Dunque non solo la città e la provincia industriale raccontate nei dettagli, anni fa, da Pietro Macchione in due volumi che hanno appunto per titolo “Una provincia industriale – edizioni Lativa – seguiti poi da “Premiata ditta”, una trilogia che meriterebbe una rinnovata attenzione per esplorare le radici profonde del nostro benessere.

Scorrendo le “réclame” della falsa pagina ci si imbatte in annunci sorprendenti per l’epoca, come un trafiletto che – siamo nel 1931 – addirittura consiglia sotto traccia una marca di profilattici; come la “luce bianchissima, durata 1000 ore, lampadina elettrica a filamento metallico” targata Philips e proposta dalla Drogheria Brugnoni di via Verbano 1 (oggi Via Marcobi), siamo nell’aprile del 1911; come l’Antica Ditta Antonio Bernasconi che scende in campo con un autoreferenziale “ Grandioso emporio Macchine per cucire e maglieria dei migliori sistemi, Garanzia per iscritto”. E poi alcuni nomi storici che hanno attraversato il firmamento commerciale della città per un secolo e più e che hanno alzato bandiera bianca soltanto da poco.

È il caso dei Fratelli Alesini, via Aguggiari 6,”premiati all’esposizione varesina del 1891” che il 6 aprile del 1911 proponevano alla clientela “Mobili a nolo” in qualche modo un invito anticipatore del pagamento a rate, un classico degli anni sessanta e del più recente e gettonato leasing. La farmacia Gagliardelli, già Magnoni di Corso Vittorio Emanuele 58 (oggi Matteotti) – telefono 103- offriva Robur, amaro, tonico, depurativo, suggerito per le persone di tutte le età: flacone iodurato piccolo Lire, 2.50 – grande 4.50. Robur un nome che sarebbe stato ripreso dalla ben nota squadra di pallacanestro fiorita in ambito oratoriano.

I Verga infine invitavano “tutti al 33” sempre in Corso Vittorio Emanuele, uno spazio ancor oggi identificabile da un fregio inciso nel muro sul quale spicca appunto il numero 33, ma nella stessa inserzione annunciavano anche il nuovo negozio di via Verbano 1 con retro su via Bernascone 3-5. Chiudevano la réclame scrivendo spavaldi: “Non si teme concorrenza, vi troverete tutte le novità” Una dinastia fondata dal nonno Antonio nel 1898, una luminosa parabola commerciale chiusa giocoforza qualche mese fa dal nipote che ne porta il nome di battesimo.

Di crescita e sviluppo della città si sono occupati un paio di settimane fa lo storico Enzo Laforgia e il fotografo Carlo Meazza in un pomeriggio promosso da Universauser. Sono state le immagini di Carlo a riavvolgere in parte il film di una città scomparsa accostando vecchie immagini di negozi, boutique e caffè scattate mezzo secolo fa – e con molti dei protagonisti sopra citati ancora in partita – a quelle degli stessi luoghi fissate oggi. Un confronto stridente che dà la misura del cambiamento senza tema di smentita. La conferma visiva che la rendita fondiaria, temperata solo in alcuni paesi del Nord Europa, ha dettato ruvidamente i tempi e i modi delle trasformazioni (solo chi ha i muri sopravvive) imponendo affitti proibitivi e decretando così la morte lenta ma inesorabile di negozi, negozietti, trattorie e librerie ovvero i luoghi della quotidianità conviviale per sempre cancellati.

Di fatto oggi solo i grandi marchi, le catene nazionali e internazionali hanno diritto di cittadinanza commerciale. Grazie alla loro forza economica impongono una sorta di monocultura merceologica che vede occhiali, calzature, intimo femminile, cosmesi e gelaterie in serie dettar legge dentro città sempre più gelide e asettiche, come farmacie di ultima generazione.

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