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Società

L’ATTESA

EDOARDO ZIN - 10/11/2017

avvento“Avverrà che chi fugge al grido di dolore cadrà nella fossa… A pezzi andrà la terra… Cateratte dall’alto si aprono… La terra barcollerà come un ubriaco…In quel giorno il Signore punirà in alto l’esercito di lassù e in terra i re della terra…”.

E il Vangelo di Marco rincara la dose:” Il fratello farà morire il fratello, il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno… Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno”

Resto sconcertato a leggere questi versi di Isaia e il passo del Vangelo che saranno proclamati in questa prima domenica dell’Avvento ambrosiano. Ma come? L’Avvento è tempo di attesa del Natale, del Bimbo che nasce, è tempo di tenerezza, di gioia, di consolazione perché Dio si fa uomo, uno come noi, e viene a salvarci. Perché presentarci queste parole che inducono alla tristezza, alla disperazione? Perché presentarci altre paure come se già non ne avessimo molte altre? Perché introdurre il terrorismo nelle pagine che dovrebbero darci una parola nuova, buona, una cronaca bianca?

Mentre la tanto invocata pioggia riga le finestre, bagna il prato, irrora le piante, rimugino le catastrofi che abbiamo recentemente vissuto: la terra ha tremato, l’acqua impetuosa ha devastato prati e campi, la siccità al contrario ha inaridito le coltivazioni, il terrorismo ha mietuto vittime in tutto il pianeta, il fuoco ha depredato boschi, ha estirpato flora, ha eliminato animali: non sarà giunta l’ora inquietante di cui parla Isaia? E non è forse vero che l’amore viene quotidianamente spodestato dall’odio anche tra consanguinei e la guerra è sempre in agguato, portata perfino in nome della religione? Il solito amico, profeta di sventura che vede nella modernità tutto il male possibile, aumenta la razione e incrimina il Papa, i nuovi preti, una certa teologia perversa. Resto turbato e telefono all’amica biblista. Mi conforta e mi esorta a non farmi prendere dall’ansia.

Mi spiega che Isaia usa un genere letterario che non va preso alla lettera. “Non è un linguaggio “apocalittico”, come lo definite voi cattolici. L’Apocalisse non indica la fine del mondo, ma lo “svelamento” di ciò che sta avvenendo oggi nel mondo e ci invita a leggere la storia quotidiana per capirne i segni in modo tale da prepararci alla venuta finale del Signore quando – come scrive Paolo agli abitanti di Corinto – “egli consegnerà il Regno a Dio Padre”.

Se ho ben capito, le letture della prima domenica di Avvento non ci parlano della prima venuta del Salvatore, quella del Natale che ricorderemo fra sei settimane, quello dell’Incarnazione, del Dio che si fa uomo per la nostra salvezza, ma della venuta finale del Signore, quella che professiamo di attendere dopo la consacrazione della messa: “nell’attesa della Tua venuta”.

In quella seconda venuta – leggo in Marco – il Figlio dell’uomo verrà, tornerà, balenerà in cielo, “il sole si oscurerà e la luna non darà più la sua luce”. Tutti saremo storditi dal fulgore degli eserciti celesti, degli angeli proprio come Isaia aveva predetto:” Arrossirà la luna, impallidirà il sole”.

E nel frattempo che cosa farò io? Sono un uomo di questo tempo, vivo in questo mondo. Ci sarò ancora quando Egli verrà oppure la coltre dei secoli avrà cancellato perfino le mie ceneri? Dio verrà, ma intanto io devo vivere con il carico dei miei anni, i miei travagli, le occasioni mancate, gli slanci pieni d’ardore e il crollo sotto le mie miserie.

Lui allude: verrò, sta all’erta, tieniti sveglio e pronto. E intanto lascia me a vivere in questo tempo di mezzo fra bene e male, dove tutto non è luce, ma anche tenebra. Mi dice di vivere il “carpe diem”, cioè l’attimo presente, tenendo ben aperti occhi ed orecchie per cogliere il valore della vita dell’uomo. Accanto al macinare di tante esperienze, di certi giorni di stanchezza e di rinuncia, mi piace pensare al Signore Gesù che esce dal tempio e mi indica quello che avverrà, mettendomi in guardia contro i falsi profeti che hanno il nome di Dio sulle labbra, ma non hanno speranza, temono le mutazioni della storia, vivono nella paura che li rintana e li paralizza. Si lasciano sedurre dalla spettacolarità di veggenti, di apparizioni, di miracoli, ma non dalla Sua Parola. Si lasciano abbagliare dal mito della potenza dell’uomo forte, ma non da Lui che è l’Uomo. E mi invita a non temere e a camminare sulle strade di questo mondo anche se sono segnate da conflittualità, a proclamare il suo Vangelo con la mia vita “perché non siete voi a parlare, ma lo Spirito Santo”. A testimoniarlo con l’amore e con la gioia anche nei giorni difficili. “Voi badate a voi stessi”: non è forse l’invito a rientrare in me stesso, a riflettere, a discernere il grano dalla zizzania?

Questo tempo che precede la venuta del Signore è tempo di salvezza per “chi avrà perseverato fino alla fine”, per chi sta nel mondo anche dentro situazioni difficili, senza lasciarsi prendere dallo sconforto, dalla stanchezza, in mezzo alle contraddizioni e ai consensi. Questa vita nel mondo abitato da noi tutti è un impegno ad ascoltare gli altri, a chinarci sulle loro ferite, a custodire il creato che noi uomini inquiniamo, degradiamo, devastiamo. Quando il Signore verrà alla fine dei tempi, quando “i cieli nuovi” e “la terra nuova” risorgeranno dal grande rogo finale, io, i miei, chi mi ha preceduto, gli altri, tutto questo mondo saremo uno spicciolo di gioia in confronto allo splendore e all’amore di cui il Signore ci avvolgerà.

È tempo di attesa questo Avvento, ma non attendo la festa del Natale (“A Natale arriverà Gesù Bambino” – diceva mia madre!), ma a Natale faremo memoria della nascita di Gesù per affermare la fede e l’attesa della sua seconda venuta gloriosa. “È tempo che sia tempo” ho trovato scritto in una poesia del poeta rumeno Celan: vorrei riappropriarmi del tempo in questo periodo, a prendermi del tempo perché il tempo non prenda me e non mi alieni, mi domini, mi sfugga.

Ormai anziano, mi accorgo di amare sempre più questa terra, questi giorni, gli amici, la famiglia, i viaggi, la natura, il buon cibo, la buona musica ed è così che mi preparo ad accogliere Colui che è venuto e ritornerà.

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