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Cultura

RORTY, NEOPRAGMATICO

LIVIO GHIRINGHELLI - 16/11/2017

rortyFormatosi a Chicago e a Yale, docente di filosofia a Princeton, quindi nell’Università della Virginia, dapprima vicino agli ambienti della tradizione analitica, poi abbandonata, Richard Rorty (1931-2007) si è affermato soprattutto con l’opera “La filosofia e lo specchio della natura” (1979). Rorty rifiuta il concetto di realtà esattamente riproducibile senza deformazioni dallo specchio e dall’occhio contemplativo della mente, come quello di coerenza puramente logica del ragionamento e dell’azione. La sua scelta è invece quella di una filosofia in grado almeno di offrire qualche cenno sul modo in cui le nostre vite potrebbero cambiare (Conseguenze del pragmatismo, 1982).

Gli si presentano due posizioni esemplari rispetto alla verità: la prima è quella che risale a Platone, che radica la verità stessa in una dimensione sovrumana, che coglierebbe in modo trasparente una oggettività posta al di sopra di ogni criterio concordato da gruppi umani concreti; la seconda ricondurrebbe a James e a Dewey nel legare la verità a pratiche sociali condivise di giustificazione e di controllo.

Nel primo caso le regole di validità del discorso sarebbero agganciate ad essenze (idee) che, una volta raggiunte, si imporrebbero all’uomo per la loro luminosa, indiscutibile evidenza; si tratterebbe di una legiferazione attuata però da una ristretta comunità artificiale di filosofi, che si arrogano di rappresentare l’intera umanità d’ogni luogo e d’ogni tempo e ci si fonderebbe su procedure di carattere autoriflessivo. Ecco allora proporsi la necessità di contrapporre la trasformazione dell’oggettività in solidarietà.

Verità sarebbe quella che incontrasse la minor resistenza a essere accettata da quanti seguono determinate regole storiche di verificazione; falsità il contrario (Solidarietà od oggettività? 1983). Non ci si deve proporre di cercare le fondamenta ultime della realtà e del pensiero, bensì limitarsi a discorsi “edificanti” (in contrapposizione a quelli sistematici). Le pratiche comunicative non vanno irrigidite in schemi prefissati e la creatività si sviluppa attraverso forme di dialogo, che non presuppongono alcun “vocabolario dato”. È questo un pensiero rivolto a “edificare “, formare gli uomini, più che a conoscere oggettivamente il mondo. È un indirizzo di pensiero da accostare all’ermeneutica per la comune ispirazione storicistica e antiepistemologica. Fondazionalismo e epistemologismo sono sinonimi per Rorty. I valori astrattamente universalistici depotenziano la vitalità delle singole comunità storiche. Le varie libertà, dal bisogno, dall’oppressione, dalla crudeltà non hanno bisogno di altra giustificazione che non sia quella della loro desiderabilità.

Il fine è una democrazia che possa fare a meno sia della fondazione religiosa, che della legittimazione filosofica. Per la politica non valgono credenze rilevanti, ma indifendibili sulla base di quelle condivise dai concittadini. L’individuo allora deve sacrificare la sua coscienza sull’altare del bene pubblico (La priorità della democrazia sulla filosofia – in Scritti filosofici I). Ci sono tanti criteri di verità e di giustificazione quante sono le culture. Bisogna puntare sull’idea di una umanità che procede in direzioni divergenti, privilegiare la differenziazione rispetto all’unificazione, usare del peso della contingenza per relativizzare ogni pretesa di assolutezza.

Per Rorty è chiaro il carattere situazionato di qualsiasi processo interpretativo, come il carattere storico e finito dei processi che articolano una “comprensione”. Irriducibile è la pluralità dei punti di vista come evidente il carattere aperto della discussione. Non va mai cancellata la democrazia dialettica. La formazione degli uomini avviene attraverso il dialogo. Il consenso è relativo e revocabile in ogni momento. Il linguaggio ha un carattere relativo e pragmatico. I nuovi filosofi propongono un’idea popstmetafisica di una pluralità mutevole di approcci al reale, mentre i nostri discorsi non devono essere legittimati rispetto a fondamenti o principi predisposti, quanto in relazione a ciò che riteniamo migliore, più bello, più utile da fare e da pensare nell’ambito di una comunità.

Si tratta di valori condivisi e partecipati in funzione esistenziale. La filosofia ha un eminente scopo terapeutico. Contingenza, ironia, solidarietà (opera del 1984), ecco i principi che dominano; la satira, gli aforismi, le parodie sono gli strumenti. Linguaggio, coscienza, comunità sono prodotti del tempo e del caso. Tutto è socializzazione e quindi circostanza storica.

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