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Cultura

HOMO NOVUS

FELICE MAGNANI - 16/11/2017

dipendenzaIn pochi anni la nostra vita è cambiata radicalmente, siamo passati dalla civiltà dell’aratro a quella della pressione digitale, dalla famiglia patriarcale a quella nucleare, dove le forze in campo hanno dovuto trovare nuovi modi e nuovi stili di vita. Oggi la vecchierella non si trova più nella corte a filare con le vicine, raccontando del suo buon tempo migliore, come affermava Giacomo Leopardi nei suoi Canti, ma o viene parcheggiata in una casa di riposo o lasciata in custodia a una badante o a un badante che arrivano da paesi lontani. Siamo passati dalla civiltà del pennino a quella del computer, dalla cabina telefonica al telefonino computerizzato, puoi andare in banca o fare tutte le operazioni bancarie a casa tua, senza prendere freddo ed evitando le noiosissime file. Oggi abbiamo il mondo in casa, lo schermo e il video la fanno da padroni, incollando il corpo e la mente in un immobilismo esistenziale che fa comodo, ma che alla lunga lascia il segno.

Il problema che si pongono gli esperti, ma anche le persone comuni è quello di capire bene fino in fondo se la civiltà tecnologica sia davvero la realizzazione di un sogno destinato a creare felicità. Il telefonino è una grandissima invenzione, così come il computer e tutta l’attrezzistica digitale presente oggi sul mercato, ma qual è il prezzo che dobbiamo pagare per avere un mondo a portata di mano?

Si tratta sicuramente di un prezzo elevato, forse perché nella maggior parte dei casi il progresso non è stato preceduto da una comunicazione popolare che educasse le persone a gestirlo, così in molti casi è arrivato travolgendo tutto quello che incontrava, soprattutto il buon senso, la capacità comune di dare il giusto peso alle cose da imparare e da fare.

Quando negli anni Cinquanta ha cominciato a diffondersi il telefono, i padri e le madri esultavano, perché non si sentivano più soli e abbandonati, col telefono potevano comunicare con il mondo, ma alla base di una bellissima comodità c’erano delle regole che andavano applicate.

La comunicazione doveva essere breve ed essenziale, perché aveva un costo che incideva sull’economia familiare. C’era poi una certa forma di pudore che non permetteva di raccontare tutto telefonicamente, si preferiva parlare a tu per tu, per cogliere la forza e la bellezza di uno sguardo, di un sorriso, di un ammiccamento amoroso.

Il telefono serviva per stabilire l’ora di un incontro, il risultato di un esame, l’evoluzione di una malattia, ma sempre con parsimonia, senza scadere nel prolisso quotidiano, anche il progresso più evidente soggiaceva insomma alle regole del buon senso. Le persone si incontravano nei salotti delle case, oppure al tavolino di un bar o sulla panchina di un parco, cercavano sempre la comunicazione diretta, quella che mette di fronte chi parla a chi ascolta.

Oggi non è più così, le persone vivono attaccate al telefonino, le osservi per strada, in macchina, sui mezzi pubblici, hanno tutte il telefonino appiccicato all’orecchio, non lo mollano un attimo, al punto che attraversano la strada senza guardare, guidano con una mano sola, a volte zigzagando e col rischio di mettere sotto qualcuno.

Anche quando sembra che non comunichino, vedi che muovono sistematicamente le labbra e sorridono oppure corrugano la fronte, perché i segreti e i misteri della telefonia mobile sono infiniti. Invece di vedere persone che si cercano, incontri persone che si ignorano, che vanno per i propri mondi, infischiandosene di quello che hanno intorno.

Sono aumentati moltissimo gli incidenti stradali e nonostante sia proibito usare il telefonino in macchina, le persone se ne fregano e continuano a farlo lo stesso. Il computer poi è un’arma a doppio taglio, può essere straordinariamente utile e importante, ma può anche creare varie forme di dipendenza.

Il progresso è fondamentale, ma ha sempre bisogno di qualcuno che lo sappia dosare e gestire.

Il problema vero è che si arriva alla novità senza essere stati educati o formati all’uso della comodità stessa e in moltissimi casi il rischio è quello di diventare succubi di un oggetto o di un prodotto.

Il fenomeno della dipendenza è largamente diffuso soprattutto nelle fasce giovani, dove tutto diventa norma, rito, necessità, col rischio di perdere il contatto umano, la bellezza di frasi e parole sussurrate guardandosi negli occhi. Il dialogo allena la sfera delle emozioni, costringe a riflettere, a pensare, a cogliere umori e gesti dell’altro, insomma rende più umano e vitale il rapporto tra le persone.

Lo stesso discorso vale per la televisione, che occupa quasi totalmente lo spazio giornaliero delle persone, imponendo una sudditanza da video che può produrre guai molto seri al sistema circolatorio, emozionale e mentale. Chi guarda troppo la televisione ne diventa dipendente, perde il contatto con la realtà, quella vera, quella che ci sta vicino, che accompagna la nostra vita quotidiana.

Succede spesso che le persone che operano in ambiti educativi e formativi si stupiscano di fronte al vuoto esistenziale che prolifica soprattutto in quei giovani che vivono una situazione di dipendenza passiva al mondo digitale. Si assiste infatti a una consumazione abbreviata, stereotipata, ripetitiva, approssimativa, della comunicazione verbale, ridotta a singhiozzi, contrazioni, sillabazioni e ad abbreviazioni che non dicono nulla e che distruggono la sfera personale dell’io, quella che ha un grande bisogno di incontrare lo sguardo e l’accoglienza dell’altro.

Ci stiamo avviando verso una società malata di individualismo, di solitudine esistenziale, di carenza di punti di riferimento stabili. Tutto diventa occasionale, temporaneo, privo di sostanza etica, di valore umano, siamo seduti al banchetto della consumazione e aspettiamo che qualcuno si accorga di noi e ci conceda di ricreare un rapporto umano, fatto di sentimenti veri, di emozioni, di spirito e di anima.

La relazione umana va coltivata, promossa, seguita da vicino, fatta uscire e affrancata da varie forme di dipendenza. Gli uomini devono riprendersi lo spazio della vita affettiva, dei rapporti parentali, della bellezza di poter conversare con tutti, di riaprire la propria anima al mondo, regalando entusiasmo, gioia, passione, condivisione e amore. Anche nel vortice della civiltà digitale l’uomo deve dimostrare di essere un artefice equilibrato, che non si fa mettere sotto, ma che guida con intelligenza e maestria ciò che la sua mente ha prodotto, per il bene della comunità.

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