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Attualità

LIBELLULE E POLLI

LUISA NEGRI - 03/03/2012

 

Frugare in libreria, nel bombardamento di offerte e nella massa di libri spesso inutili e futili che straripano da ogni scaffale, non è impresa del tutto consolante. Almeno finché non soccorre qualche chicca editoriale, scovata tra volume e volume, dove s’è accomodata, senza le trombe della pubblicità, grazie alle credenziali di un titolo attrattivo e del buon nome dell’autore. Così è capitato nel trovarsi tra le mani “Esercizi superficiali. Nuotando in superficie” di Raffaele La Capria, giovane-anziano scrittore, nato a Napoli nel 1922, autore di quel famoso “Ferito a morte” che gli ottenne il Premio Strega nel 1961.

Il libro di La Capria è cosa rara, per bellezza di scrittura e saggezza, per quel piacere che procura nel concedere un confronto su diversi argomenti, domande e valutazioni – molte sulla turbolenta attualità nazionale e internazionale – che sono nel cuore e nella testa di tanti. E che spesso restano però sospesi nel dubbio e nell’incertezza di una quotidianità allontanante, in cui ci si sfiora senza incontrarsi, e dove il pudore delle parole prevale sul desiderio di aprirsi all’altro. Il volume compare nella nuova collana Mondadori “Libellule”, destinata a racconti brevi e a un approfondimento esercitato con levità, sola garanzia di un’indagine seria, come assicura l’autore citando Hugo Von Hofmannsthal “La profondità va nascosta. Dove? Alla superficie”. I diversi racconti dell’opera di La Capria sono dedicati in parte a pagine di memorie, ricordi d’infanzia e di famiglia o degli anni della dolce vita romana vissuti da scrittore-sceneggiatore, e da amico di noti autori e artisti di Cinecittà. Un’incursione speciale è riservata al mondo della letteratura, e alle risposte su possibili domande a uno scrittore di fama: quali libri leggere, quali autori, e quali generi sono più calati nella realtà attuale, ed è più facile per un autore contemporaneo confrontarsi con la stesura di un romanzo o di un racconto?

Il cuore del libro conduce diritto a temi sui quali tutti ci interroghiamo, come il destino del nostro Paese, con particolare riguardo a città amate e dimenticate, è il caso di Venezia o Napoli. E intanto l’autore ci fa riflettere sulla felicità, sulla vecchiaia, o l’incapacità di comunicare. Difetto quest’ultimo, scrive, legato alla mancanza di memoria generale, ma anche alle colpe dei media che non si fanno capire, e a loro volta, invece di favorire il dialogo, fomentano il battibecco inutile. Riproducendo a ogni livello quell’incomprensione tra fazioni politiche opposte del Paese, tra destra e sinistra. Il battibecco, secondo La Capria, continua imperterrito più che mai, segno che un desiderio di autodistruzione più forte di ogni ragione si è impadronito dei contendenti, spingendoli verso il baratro. “Questo desiderio di autodistruzione è la causa della rovina e della decadenza dei popoli e delle nazioni, e anche degli individui, ed è ineluttabile e terribile perché avviene ad occhi aperti: tutti sanno dove si andrà a finire, in quale abisso, e tutti, nonostante questa intima consapevolezza, continuano a beccarsi come i polli di Renzo. Sulle onde agitate di questo battibecco naviga l’Italia”.

Anche la “mala informacion” basata sul vuoto del politichese e sulla rimozione della memoria collettiva porta danni. L’impegno giusto da intellettuale e da scrittore è allora per l’autore quello della “distrazione vigilante”, che lo tiene in uno stato di continua perplessità, ma con gli occhi bene aperti. “Parlo della mia libertà, mi sforzo di distinguere la verità, una delle tante che si propongono, dall’evidenza. Viviamo in un tempo in cui l’evidenza è negata”. Un tempo, avverte La Capria, chi non obbediva alla logica dell’ appartenenza finiva in un lager, in un gulag, in una gelida Siberia. E il sonno della ragione, ovvero della logica elementare, sottolinea, ha sempre generato mostri, fantasmi e mostriciattoli. “E quanti ne vediamo oggi andare in giro per il mondo. Con loro meglio non averci nulla a che fare, ed è questo soprattutto che mi tiene disimpegnato. Ma ogni volta che mi accorgo che la concettualizzazione diviene più importante del contenuto, mio malgrado mi impegno e sento l’irresistibile bisogno di spacchettare per vedere cosa c’è dentro il pacco”. Dal pacco a volte può saltare fuori anche una certa reciprocità assurda tra Occidente e mondo islamico, con la lecita domanda sul significato di un Occidente che compra il petrolio dal mondo islamico, che a sua volta compra con quegli stessi soldi le armi che produce l’Occidente e che contro l’Occidente possono essere usate. La mia sincera riposta di fronte a un tale carosello di follia, chiosa La Capria, è: “non lo so”.

Ci sono infine, tra i racconti brevi di “Esercizi Superficiali”, chicche di saggezza sulla vita dopo i settant’anni. Superata la malinconia dell’impatto con la vecchiaia La Capria ha innescato un’altra marcia, con una nuova voglia di vivere. Per questo si sente di controbattere con una proposta di nuova vita alla tesi di “esibizionismo autoprotezionale” o meglio al “very english common sense” di Martin Amis, che, intervistato dal Times, ha indicato una eutanasia di massa, per chi ha raggiunto i settant’anni, come rimedio utile a riequilibrare le sorti economiche e demografiche di molti paesi in crisi. “Dopo i settanta ho scritto tre o quattro libri, sono stato felice di una felicità diversa e più pacata, anche quando le ombre la attraversavano”. Ma, dice, se non avessi raggiunto questa età non avrei conosciuto altri paesi, non avrei visto la barriera corallina. E non sarebbe andato a passeggiare ogni giorno con Guappo, l’amico cane, cogliendo la felicità di giornate senza tempo. Per evitare di chiudersi nell’egoismo blindato dei vecchi La Capria pratica la ‘distrazione percipiente’. Che vuol dire distrarsi sapendo però tutto quel che succede intorno. “L’età che ho raggiunto mi impedisce ogni azione diretta, mi esclude da ogni chiamata alle armi, e l’unica battaglia che mi consente è questa che faccio con le parole che sto scrivendo”.

E intorno c’è anche il Mistero, quello che gli richiama la luce delle stelle cadenti in una notte d’estate: “L’Ignoto, il Mistero stimolano il pensiero, sono indispensabili al poeta e all’artista, aprono alla creatività. L’Ignoto, il Mistero sono un dono per gli umili, i semplici, i più, che li sentono come un’emanazione divina e perciò non si fanno tante domande come me, in questa notte stellata, ma pregano e si mettono nelle mani di Dio”.

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