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Storia

SOLDATO BLU A VARESE

MANIGLIO BOTTI - 07/12/2017

excelsiorDi presidenti o ex presidenti Usa in visita ufficiale a Varese, almeno in tempi recenti non si ha notizia. A meno di qualche passaggio ufficioso e in incognito: è noto per esempio che George H. W. Bush padre, nelle sue venute in Italia e a Milano, specie dopo la presidenza, alloggiasse di preferenza nella suite che gli approntava il suo amico personale Nello Lauro, famoso direttore sorrentino dell’Excelsior di Lugano, negli anni che vanno più o meno dal dopoguerra ai primi Duemila. Non è da escludersi, dunque, che Bush senior, da Lugano, non si sia lasciato sfuggire l’occasione per una rapida visita varesina, forse al Sacro Monte, uno dei nostri luoghi turistici più giustamente celebrati.

Ma per andare a trovare con certezza un presidente (o ex presidente) degli Stati Uniti a Varese – e che presidente! – dobbiamo catapultarci alla seconda metà del XIX secolo, quando anche a Varese, esisteva un albergo Excelsior, il Grand Hotel Excelsior, appunto, già villa dei marchesi Recalcati e quindi residenza dei nobili Morosini. Fino a che tre maggiorenti bosini – Giacomo Limido, Gerolamo Garoni e Eugenio Maroni Biroldi – acquisirono il palazzo per trasformarlo in grande albergo. Prima Grande albergo Varese e poi Excelsior. Era l’1 luglio del 1874. Oggi il palazzo, dotato di un ampio e bellissimo giardino che si degrada nella zona sudoccidentale di Casbeno, ospita l’Amministrazione provinciale e la Prefettura.

Il presidente Usa o ex presidente, perché venne nella nostra città quasi per consolarsi dell’amarezza subita per la mancata terza rielezione consecutiva alla guida degli Stati Uniti – allora, siamo nel 1877, ancora possibile –, era Ulisse Simpson Grant. L’uomo delle battaglie di Shiloh e di Chattanooga, il soldato che, dieci anni prima della sua venuta “rasserenante” in Italia, a Appomatox, al termine della guerra civile americana, aveva ricevuto la resa incondizionata dell’esercito confederato dalle mani del generale Robert E. Lee. L’uomo, ancora, che gli indiani d’America, ormai in via di decimazione, si ostinavano a chiamare il Grande Padre Bianco. E che da noi, più che per il suo passato di politico, spesso, è entrato nella storia come personaggio di film western o dei fumetti di Tex Willer scritti da Bonelli.

Parlare di vocazione turistica di Varese oggigiorno, dopo i fasti del Grand Hotel Excelsior, e anche del Grand Hotel Campo dei Fiori, imponente monumento del Liberty opera dell’architetto milanese Giuseppe Sommaruga, ormai così malridotto da muovere quasi alla pena, suona ridicolo. Il palazzo di Casbeno, per esempio, soltanto a guardare gli elenchi dei suoi ospiti si erge non solo come sede di uno dei principali alberghi italiani – a competere con analoghi di Venezia, Firenze e Roma – ma del centro Europa. Vi soggiornò la crema del mondo: conti, baroni, marchesi, nobili d’ogni schiatta. Il registro annovera tra gli altri l’imperatore di Germania Federico III… Tommaso di Savoia e Isabella di Baviera vi concludono il loro giro di nozze (e Varese allora contava poco più di 13mila abitanti…). Il re Alberto Federico Augusto e la regina Carola di Sassonia vi trascorsero qualche giorno, e la regina margherita, Maria Antonietta di Hohenzollern, il duca e la duchessa di Cumberland, il re Carlo di Romania, la regina Vittoria del Portogallo.

E ancora: Edmondo De Amicis, Francesco De Santis, Emilio De Marchi, Giovanni Segantini… Giosuè Carducci, primo poeta d’Italia, professore dei letteratura italiana a Bologna, era ospite in quegli anni a Gavirate nella casa del medico condotto Italo Vivanti, fratello di Annie. Ma nella hall dell’Excelsior si tenne un ricevimento in onore del poeta che vide schierata l’intera intellighenzia varesina, oltre che molti illustri e stimatissimi ospiti.

Della visita varesina del generale e presidente Ulisse Simpson Grant all’Excelsior, dov’era approdato insieme con un arcigno aiutante di campo e con un paio di segretari, e in questo Nordovest lombardo, non si hanno note diaristiche dettagliate. Si comportò da perfetto turista americano.

Più riconosciuto nella cronaca, grazie a una memoria del principe Luigi Troubetzkoy, fratello dello scultore Paolo, noto artista della Scapigliatura milanese, ritrattista a Mosca di Tolstoj e del principe Galitzine, fu invece il passaggio del “generalissimo” compiuto sul Lago Maggiore, scendendo al Grand Hotel di Pallanza. I Troubetzkoy erano di nobile famiglia russa. Si racconta che nel XV secolo un loro antenato stava per diventare zar al posto di un Romanov. All’epoca abitavano abitavano a Villa Ada, l’attuale Villa Ceriana, sontuosa residenza con vari edifici e parco degradante verso il lago a Carciago di Ghiffa. Pietro Troubetzkoy, padre di Luigi, Paolo e di Piero, era stato funzionario d’ambasciata a Firenze, quando questa era città capitale d’Italia. Lì aveva conosciuto Ada Wivant, di New York, studiosa del bel canto, donna dell’alta borghesia yankee. Furono Pietro e Ada a recarsi al Grand Hotel di Pallanza per invitare Ulisse Grant a trascorrere una giornata nella loro dimora.

Ulisse Grant – racconta Luigi Troubetzkoy – giunse con due landò accompagnato da tre persone. “Me lo ricordo ancora, quantunque allora io non avessi che dieci anni: statura media, corporatura piuttosto complessa, testa un po’ incassata nelle spalle. Il viso aveva un’espressione di serenità e di forza e terminava in una barbetta castana a punta. Era un uomo poco loquace”. Sobrio nel mangiare, tranne forse che nel gustare le bevande, dopo la colazione, Grant, accompagnato dai Troubetzkoy, salì in carrozza per un giro nell’immenso parco. La presenza di Ulisse Grant andava ad arricchire il cenacolo il cenacolo di artisti e di grandi personaggi che, in varie occasioni, si erano incontrati o avevano soggiornato con i Troubetzkoy, i pittori Daniele Ranzoni e Tranquillo Cremona, lo scultore Giuseppe Grandi, che viveva a Ganna nel Varesotto, il musicista e compositore Alfredo Catalani, Cesare Correnti, Benedetto Cairoli, Giuseppe Garibaldi…

Grandi ideali, grandi uomini il cui spirito aleggia ancora tra le querce e gli aceri del bosco di villa Ada. Ha scritto Gino Rotondi, uno dei mille cantori del Verbano: “Nella villa, quasi spoglia di ogni dovizia, rimane la grande ricchezza di un coacervo di memorie, di incontri spirituali, di intense vite vissute che si apprendono alle ramificazioni del tempo quali foglie tenaci. Come le foglie della ginko biloba verticillata che vi sorge d’appresso e che i primi freddi di autunno scuotono per disperderle come farfalle nell’aria”.

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