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Noterelle

GELIDE LEGGI

EMILIO CORBETTA - 07/12/2017

morbo“Mia mamma, mia mamma vive ma non c’è più con la testa. Da sola non può far più nulla. Non potrebbe esistere se non ci fosse mio padre che l’assiste, fin quando lui ce la farà … “

La confidenza di una ex-allieva, ora nella maturità della vita, all’anziana professoressa, oramai in pensione da tempo e da sempre sincera amica, che ricorda i colloqui con questa donna che non c’è più “di testa”, come si suol dire.

La prof ricorda le preoccupazioni, le sofferenze di questa madre che vide morire un figlio giovane, fratellino della allieva, rubato da una lunga, allora incurabile, trionfante malattia. Il dolore più grande per un genitore è vedere morire un figlio prima di te, strappato da una malattia o da un incidente o da una violenza, o ai nostri giorni degenerati bruciato, esploso in un suicidio ideologico, trascinando con sé nella morte tanti fratelli, prevalentemente giovani. Ora lei, dopo tutti quegli anni dolorosi, sembra assente; pesante fardello immemore, difficile da guidare, da condurre, che sembra non ricordare più quelle sofferenze dolorose, ma non rammenta nemmeno come si fanno i comuni atti della vita quotidiana, come il mangiare o il bere.

Ora è lei la malata, presa da un morbo crudele che può farla soffrire momento dopo momento, angoscia dopo angoscia, una angoscia che si crea istante dopo istante, che non appare, per via della incapacità a comunicarla, ma che potenzialmente può esserci. Questo è uno dei grandi timori che suscitano dolore nei familiari che la amano, impossibilitati ad aiutarla. In tante famiglie si vive questo dramma. Quante sofferenze nascoste nella nostra società! Quanto dolore … Come aiutare?

La società cerca di reagire, come ha fatto nel passato, creando strutture specifiche nel tentativo di controllare e alleviare le sofferenze.

Nei secoli scorsi, quando veniva colpita da spaventose epidemie o si trovava ad affrontare malattie incurabili, creava i lazzaretti, evoluti poi negli ospedali; creava i così detti manicomi, definiti più correttamente “ospedali psichiatrici” (ora superati dalle nuove terapie per queste patologie), aveva creato gli orfanotrofi ed in seguito gli ospizi per gli anziani, definiti ora in modo eufemistico “case di riposo”. Viene il dubbio che queste strutture siano tentativi per occultare certe sofferenze più che mezzi per aiutare, ma abbiamo la certezza che questi ultimi enti sono ancora in evoluzione, possiamo dire, rivoluzionaria … E sì, proprio in rivoluzione per via dei perversi movimenti della perversa “economia” che, dimentica del dovere all’amore, della virtù dell’amore, si scatena a succhiare profitto anche dai cervelli che non ci sono più, che vagano nell’apparente limbo dell’assenza della memoria. Apparente limbo perché la paura, l’angoscia, il turbamento, tutte le sofferenze psicologiche, di questi “vecchi”, possono essere, come detto, sempre racchiuse nell’istante che vivono, anche se non viene immagazzinato nella memoria, per cui non può essere rilevato, manifestato.

Questi esseri umani ridotti ad apparenti scrigni inermi, dai volti spesso immobili, inespressivi, talvolta invece si perdono in lunghi lamenti, in gemiti ripetuti, noiosi, impossibili da interpretare e da alleviare.

Ora l’economia con le sue gelide leggi se ne frega di certe sofferenze, di certe situazioni: lei deve raggiungere il profitto, suo fine principale, e vengon fuori drammi come quelli recenti vissuti da noi varesini, anche se sembra che tendiamo a dimenticarli, sembra che si sia ciechi, inerti davanti a furbi rapaci che hanno aggredito e aggrediscono le nostre storiche strutture sanitarie, (come ad esempio La Quiete, il Molina, la sanità tutta) facendo manovre che appaiono nell’etica, legalmente giuste, non perseguibili, ma in realtà sono infinitamente immorali perchè scagliate contro inermi sofferenti, impossibilitati a difendersi.

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