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Storia

CUOCO GENTILUOMO

SERGIO REDAELLI - 15/12/2017

 

Non si è mai saputo che sia scoppiata una rivoluzione per un tacchino ripieno o per un ragù, ma per il pane sempre. Nel 1917 sotto i palazzi degli zar il popolo gridava pane e non ikra malossol che in russo vuol dire caviale poco salato. Il sommo Dante non dice come sa di sale il rosbif altrui, ma il pane. Non si scalca il pollo della scienza, ma della stessa si spezza il pane e non c’è il caciucco ma il pane del perdono. Questo alimento ha un’importanza storica, etica, civile e psicologica enorme. É difficile che lo si butti via. Un rispetto atavico, quasi una superstizione, non lo consente.

É un brano, anzi un saggio di bravura da Il cuoco gentiluomo del visconte Livio Cerini di Castegnate, enciclopedico gastronomo e raffinato gourmet lombardo, grande collezionista di stampe e di libri rari e ineguagliabile raccoglitore di menù, appassionato, colto e divertente scrittore di cucina con testi che, negli anni, sono diventati dei classici nelle scuole alberghiere italiane. Fra pochi mesi, il 17 aprile 2018, ricorreranno cento anni dalla nascita. E proprio in questi giorni cinque anni fa, il 14 dicembre 2012, il visconte si spegneva a novantaquattro anni a Castellanza, dove era nato e abitava con la poetessa Wilma Minotti Cerini.

Non cuoco ma aristocratico buongustaio e padrone di casa, capace di coordinare le operazioni ai fornelli con magistrali menù per fare felici gli ospiti. Scrisse di cucina ispirandosi ai grandi gastronomi umanisti del passato come Bartolomeo Sacchi, detto il Platina, che papa Sisto IV nominò prefetto della Biblioteca Vaticana dopo aver letto il De Honesta Volutptate et Valetudine. Come Auguste Escoffier che innovò i gusti della Belle Epoque e Anthelme Brillat-Savarin, autore della Fisiologia del Gusto, ovvero meditazioni di gastronomia trascendentale, che ebbe il plauso di Honoré de Balzac.

La cucina come mezzo e fine per regalare piacere e diffondere cultura e buonumore. “Il neo cuoco – scriveva – deve sapere che prima di lui ci sono state schiere di chef e di gourmet e che di bel convitare si è sempre parlato e sempre si parlerà magari in russo o in cinese per omnia saecula”. Perfino i Vangeli hanno un posto a tavola. “Una delle più antiche leggi naturali conferisce privilegi ai convitati attorno alla mensa. L’ospite è sacro per il padrone di casa e questi lo sarà a sua volta per tutti gli ospiti. Giuda, che prima del bacio fatale si era seduto alla tavola dell’Ultima Cena, è proprio per questo il simbolo immutabile del tradimento”.

“Industriale per necessità, gastronomo per affinità”, diceva di sé. Livio Cerini, laureato in chimica industriale e padre di tre figli tra cui Livia, attrice, proveniva da una famiglia d’imprenditori tessili del basso Varesotto. Ma il cuore batteva per altri affetti, sempre in giro per il mondo a caccia di incisioni rare, di tabacchiere preziose, di armi antiche e menù storici, piccoli cartoncini spesso illustrati da mani celebri che documentano banchetti nei ristoranti e negli alberghi più famosi del mondo, convivi di letterati e capi di Stato, frugali cene alla vigilia di una battaglia o allegre mangiate a bordo dei transatlantici di lusso.

Nella sua collezione, cinquemila pezzi poi acquisiti dalla Biblioteca Gastronomica Academia Barilla, figurano i menù del pranzo per la promulgazione dello Statuto Albertino nel 1848, per la spedizione del duca degli Abruzzi al Polo Nord nel 1900 e la lista delle vivande servite il 24 giugno 1935 all’Excelsior di Roma a Benito Mussolini capo del governo italiano e a Sir Anthony Eden, sottosegretario agli Esteri inglese. Purtroppo il pranzo non servì a normalizzare i rapporti e tre mesi dopo, il 3 ottobre, le truppe italiane attaccarono l’Abissinia facendo scattare le sanzioni economiche che avrebbero avvicinato il Duce a Hitler.

Ai menù il visconte dedicò mostre, convegni e il libro Il menù tra storia ed arte (Edizioni del Lanzello, 1990), ma la passione principale restava la cucina tradizionale lombarda nelle varianti stagionali e dai fornelli allo scrittoio il passo è stato breve. Per Mondadori pubblicò Il cuoco gentiluomo nel 1980, ottocento pagine con menù e ricettari, presto esaurito e ristampato negli Oscar 1989, Il gentiluomo in cucina (Sonzogno 1983), Il libro del baccalà (Longanesi, 1986), Il libro delle padrone di casa (Salani 1988) e con Il gourmet vegetariano per carnivori (Idea Libri 2000) si aggiudicò il riconoscimento Winner Gourmand 2002.

Un filosofo della buona tavola, un intellettuale dell’arte culinaria e un inguaribile amante dei libri. Raccolse millecinquecento testi storici dal XVI al XIX secolo poi confluiti nella Biblioteca La Vigna di Vicenza. In occasione del centenario verdiano collaborò alla mostra e al catalogo “E per finire frutta cotta” del Comune di Parma. Memorabile la cena allestita nel ridotto del teatro Regio con le vivande e i vini amati dal Maestro, straordinario musicista e gastronomo. Per il ruolo di ambasciatore della buona tavola Mario Spagnol lo definì “il De Maistre della cucina” e fu socio onorario dell’Accademia della Cucina Italiana.

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