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Opinioni

PER UN EURO FLESSIBILE

LIVIO GHIRINGHELLI - 22/12/2017

euroDi fronte all’eurocrisi, che stiamo tuttora vivendo, a partire dal 2010, scatenata dalla crisi finanziaria globale, si deve constatare che l’euro, sotto attacco di movimenti e forze politiche di molti Paesi ha perso gran parte dello smalto iniziale.

Mentre negli Stati Uniti si è determinata una ripresa, sia pure anemica e tardiva, l’eurozona resta impantanata per tanti versi nella stagnazione. L’Unione europea tende a rimanere statica nelle difficoltà. L’euro, nato per garantire l’integrazione economica e politica e come ausilio nell’affrontare le sfide, ha mancato alla sua funzione e scopo. Si è creata una moneta unica in assenza di un insieme di istituzioni tali da consentire in una regione diversificata come l’Europa di funzionare a dovere.

Per rendere incisive le riforme bisogna prendere decisioni ispirate a intese e valori comuni. I Paesi forti debbono aiutare quelli più bisognosi curando un’economia nel senso dell’efficienza sul fondamento di un livello almeno minimo di solidarietà.

Il fondamentalismo di mercato presuppone che i suoi meccanismi lasciati a se stessi riescano a garantire l’equilibrio economico e l’efficienza, cosa tutt’altro che dimostrata; tagliare la spesa pubblica e accentuare l’imposizione fiscale non sono misure che riescano salutari a sanare un deficit eccessivo.

Fallace è la ricetta dei fautori di politiche di austerità in periodo di recessione. Maggiore si profila la necessità di un intervento dello Stato. Il fatto che ad alcuni Stati specie del Sud Europa sia stato richiesto di comprimere il debito pubblico, riducendo il rapporto deficit/Pil ha aggravato ancor più la recessione. L’integrazione economica è progredita a maggiore velocità rispetto a quella politica.

Soprattutto c’è un deficit di democrazia nel progetto europeo, calato dall’alto col sopravvento di burocrazia e tecnocrazia. Si è scesi a un abbassamento competitivo dei salari, al cambiamento in peggio dell’assetto del lavoro, alla flessibilità e maggiore facilità dei licenziamenti, a un cronico deficit di politiche industriali serie.

Come ovviare? L’euro non si salva con recessioni e depressioni, la disoccupazione elevata e il diffuso pessimismo. Bisogna costruire una vera e propria unione bancaria con sistemi comuni di garanzia dei depositi; va mutualizzato il debito pubblico dei diversi Paesi senza arroccamenti egoistici; bisogna tendere a un quadro di riferimento comune per la stabilità, realizzando un fondo di solidarietà e introducendo stabilizzatori automatici, perseguire una vera politica di convergenza verso il riallineamento strutturale.

Va promossa la piena occupazione e vanno introdotte riforme concernenti il sistema finanziario, la corporate governance delle imprese, la procedura fallimentare, la promozione ben più sostenuta di investimenti per l’ambiente.

La meno distruttiva delle prospettive si presenta con un euro flessibile, che caratterizzi il Nord Europa rispetto al Sudmediterraneo. Certo vanno superate le ricette di euroscettici e sovranisti, bisogna guarire dal torpore e dall’inerzia. Si impone un dialogo tra popoli e culture, in cui ciascuno si faccia custode e solidale con l’altro. Un punto di riferimento può essere trovato senz’altro nelle riflessioni contenute nel Libro bianco sul futuro dell’Europa elaborato dalla Commissione.

Tra l’andare avanti così, l’affidarsi alle sole virtù del mercato, il fare meno, ma in modo più efficiente, va certo privilegiata la soluzione del fare molto di più insieme.

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