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Società

IL FUFU DIABBA

LAURA BELLONI - 12/01/2018

fufuUn giovane africano dall’aspetto gentile si dirigeva malinconico verso la questura di Varese, mentre Maria, un’anziana assistente sociale, zappettava l’aiuola davanti al suo condominio.

 “Come ti chiami, hai fatto colazione?”, gli chiese sorridendo.  “No, mi chiamo Ousman”. Fattolo entrare in cucina, il ragazzo si trovò davanti un cappuccino fumante, che diventerà la sua bevanda preferita. Stupito, osservava  un quadro con   foto di anziani e giovani. “Chi sono?”, domandò.”Da questa parte -rispose Maria- ci sono i miei cari già in cielo, dall’altra ci sono i vivi, così quando recito il Rosario  prego per  i vivi e per i morti”.

Turbato, Ousman staccò una delle foto che stava portando  in questura e la infilò accanto a quelle dei vivi. Maria allora si interessò a lui e Ousman cominciò a raccontare la sua storia di ordinario strazio a cui non riesco ancora ad abituarmi.

Musulmano moderato, ma praticante, nato in Gambia, una piccola nazione dell’Africa Occidentale al confine con il Senegal,  orfano di madre, viveva con la sorella minore, il padre e lo zio che avevano un negozio di sartoria. Morto anche il padre, lo zio emigrava in Mauritania. A Ousman non restava che prendere la terribile strada del deserto, sperando di trovare fortuna in Europa e riuscire a far studiare la sorella. Costretto a lavorare come schiavo in Libia, quando i libici decisero di averlo sfruttato abbastanza lo ammassarono su un barcone che presto affondò.

Ousman fu l’unico a sopravvivere, perché sapeva nuotare. Percorse tutte le tappe che ogni migrante deve  seguire. Approdò nella nostra città, divenne amico di Maria che lui chiama “Mama”, poi amico mio. Io, disabile non autosufficiente, Olympia e Grace, mie assistenti ugandesi, siamo diventate le sue zie. Sempre disponibile ad aiutarci nel  fare la spesa, a portami fuori.

Lo scorso Natale, lo abbiamo incaricato di cucinare il pranzo natalizio con un piatto gambiano, il fufu, mentre Olympia e Grace preparavano il menu di Santo Stefano che avremmo trascorso con Silvana e Gianluigi, una coppia di amici fraterni. “Siamo una famiglia”, ripete spesso.

Io non ho più famiglia, ma nei miei quasi sessanta anni di tribolazione, il Padre ha costruito intorno a me una rete  fatta dalle Sue carezze che ha permesso di trasformare la mia fragile e difficile vita in dono di tenerezza. Grazie, Abba!

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