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Società

METICCIATO LOMBARDO

EDOARDO ZIN - 26/01/2018

multietniaSulla malaccorta espressione del candidato di “Lega con Salvini” alla presidenza della regione Lombardia si sono aperte vivaci discussioni. Gianni Rodari ha lasciato scritto che “oggi vi sono parole per vendere, parole per comprare, parole per fare parole, ma mancano le parole comprensibili per…pensare!”. Dobbiamo dare atto al candidato che per esprimere il suo concetto non ha usato l’oscuro “politichese”: ha parlato molto chiaro, ha usato un’espressione molto comune il cui riferimento semantico è condiviso da tutti e a molti ha risvegliato ricordi sopiti: i conquistadores in America latina e i colonizzatori in Africa o in Asia, il pathos della vita e della morte, la paura (questa sì, vera, perché vissuta da molti!), fili spinati, camere a gas, rastrellamenti, facce al muro e colpi alla nuca.

Ma il silenzio, spesso, vale più di molte parole. Avrebbe fatto bene il nostro candidato a tacere per non contraddirsi tirando in ballo la nostra Costituzione che all’articolo 3 così recita: ”Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.” L’intenzione del candidato non era quella di porre evidentemente una questione terminologica, bensì di indurre i non pensanti a credere che il citato articolo possa voler dire altro da quello che sancisce e cioè che gli esseri umani possano essere discriminati in base, fra l’altro, alla razza: “pejo el tacon del sbrego”, dicono in Veneto. Sì, peggio la giustificazione che l’affermazione primordiale! “Razza” è una parola senza senso, tanto più che non si può declinare al plurale perché – come si è espresso Einstein – c’è una sola razza: quella umana!

E se ciò non bastasse l’aspirante presidente si è vantato confessando pubblicamente che quella frase l’ha fatto salire nei sondaggi e in un secondo l’ha fatto conoscere all’elettorato lombardo. E ciò a riprova di come la banalità del male riesca a smorzare anche la capacità di critica!

Cerchiamo noi di riflettere. L’articolo della Costituzione citato (mi si passi la citazione storica che rubo al costituente Tosato!) fu motivo di discussione durante l’assemblea costituente. Un padre costituente voleva sostituire quel sostantivo con uno più neutro: “stirpe”, ma un suo collega insorse contro di lui, che voleva liberarsi da quel nome maledetto, il quale ricordava ciò che realmente era accaduto esattamente dieci anni prima, e cioè la supremazia di una razza. L’articolo passò come noi oggi lo leggiamo.

A distanza di ottant’anni dalla promulgazione delle leggi razziali, ben ha fatto il presidente Mattarella a nominare a senatore a vita Liliana Segre, testimone vivente dell’olocausto.

Oggi non sono più gli ebrei, gli zingari, gli omosessuali, i portatori di handicap le vittime dei difensori della supremazia della razza bianca, ma sono i migranti, i “non cittadini”, gli “avanzi urbani”. Tra difesa della propria identità e timore che essa venga distrutta dalla presenza di “nuovi arrivati”, che fuggono dalla loro terra o per la guerra o per la fame o per cercare un minimo di aiuto per dare dignità alla loro vita, c’è lo spazio per l’ospitalità che deve essere controllata, governata e gestita per assicurare agli esuli un minimo di lavoro, un tessuto vivo e durevole, l’apprendimento della lingua degli ospitanti. Se è doveroso coltivare l’amore per la propria terra, fecondare continuamente le nostre radici, in un mondo globalizzato come quello odierno è altrettanto dovuto non cadere negli eccessi del localismo: non è forse la nostra Lombardia frutto del meticciato tra celti, romani, longobardi, francesi, spagnoli, austriaci, terroni e polentoni…? Ciascuno di noi porta in sé qualcosa che è dell’altro. E la coscienza nazionale, che tanto seduce e incanta gli spiriti di coloro che si proclamano ”patriottici”, non si evolve spesso in movimenti regressivi che tanti danni hanno seminato nel periodo tra le due guerre mondiali? L’Europa ha già conosciuto gli orrori, l’odio, il rancore, le brutalità di piccole mitologie innocenti che si sono trasformate in identità omicide.

Oggi la tendenza alla chiusura, dettata dalla paura, ha provocato morti, schiavitù, campi di collocamento, affari loschi, mentre l’ospitalità fa parte della nostra stessa cultura civile, prima che religiosa. Anche la clandestinità è frutto di un’insensata politica: possiamo definire clandestino il nigerino che è senza stato, senza diritti, senza documenti? Non lo è prima ancora che venga dichiarato tale dall’autorità di polizia? Immanuel Kant ha lasciato scritto:” Nessuno ha originariamente il diritto di trovarsi in un luogo della terra piuttosto che in un altro.”

La settimana scorsa su queste pagine il professor Valerio Crugnola ha spiegato molto bene che la nostra cultura non è “la” cultura, ma “una” cultura, spesso trasmessaci da culture di popoli estranei alla nostra: Cristo era ebreo, la democrazia ha origini greche, la scrittura è latina, i numeri sono arabi, la macchina che guidiamo è giapponese, il caffe brasiliano, l’orologio svizzero, lo smartphone coreano, andiamo in vacanza in Indonesia…L’Europa aveva abbattuto i confini interni, a Berlino è caduto il muro ed ora si ergono fili spinati per proteggere la nostra identità contro il diverso che si avvicina a noi non solo per chiedere, ma spesso per darci un contributo al fine di acquisire un’identità più vasta e più vera della nostra: quella del genere umano.

“Arricchitevi delle vostre diversità!” – ci ammoniva Robert Schuman. Sì, perché siamo tutti uguali e tutti diversi: ogni persona è unica e irripetibile nella sua essenza, ma nella vita quotidiana della propria esistenza essa è in relazione con gli altri ed è in questo rapporto che rivela il suo volto, la sua identità, la sua capacità di ospitare.

Coloro che ancora oggi – disgraziatamente – proclamano la superiorità di una razza (e contemporaneamente dicono di non essere razzisti!) si rifanno alla concezione della disuguaglianza tra le razze, incominciata dopo la scoperta dell’America. Fra questi primeggia Nietzsche, vero teorico della selezione, che scrive che l’uguaglianza, “illusione dei deboli”, è “volontà di negazione della vita, principio di dissoluzione e di decadenza”. Questa affermazione fa a pugni con il messaggio di Paolo:” Non c’è più né giudeo né greco, non c’è più né schiavo né libero, non c’è più uomo o donna perché voi tutti siete uno in Cristo”. La fede in Cristo non omologa né inghiotte l’altro, ma cerca punti in comune e ciò che è diverso lo rispetta. Il razzismo non può trovare posto in chi crede nel Vangelo, ma solo nel rancore, nell’odio, nell’avversione verso i diversi.

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