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Cultura

PAPA D’ARTE

LUISA NEGRI - 26/01/2018

 

C’è anche il ritratto del cardinal Giovanni Battista Montini, nella mostra Kerouac-Beat Painting (fino al 22 aprile), curata da Sandrina Bandera, Alessandro Castiglioni e Emma Zanella per il MA*GA di Gallarate,

L’autore di “On the road”, come rivela l’interessante rassegna, non fu solo uno scrittore di fama, considerato, con Allen Ginsberg, William S. Burroughs, Ferlinghetti, tra i maggiori rappresentanti della cosiddetta Beat Generation. In realtà il suo più grande sogno, coltivato fin da bambino, era stato di diventare un artista.

E Jack, nato nel Massachusetts, discendente da un’antica famiglia di radici bretoni trapiantata in Canada, i De Kerouac, artista riuscì ad esserlo davvero, anche se pochi se ne accorsero.

Fu persino attento ritrattista, curioso dell’altrui umanità. Degli amici prima di tutto: dai compagni Allen Ginsbergh, Burroughs, Dody Muller, fino a personaggi come Joan Crawford e Truman Capote, o il Cardinal Giovan Battista Montini.

La sottile capacità introspettiva di Kerouac (1922-1969), ma anche il suo interesse per la religione – “sono uno strano, pazzo, solitario mistico cattolico”, raccontava di se stesso – lo portò a fissare l’attenzione proprio su quel personaggio dagli occhi luminosi, quasi magnetici, ricolmi di una luce carica di attesa e speranza, che sarebbe salito al soglio pontificio nel giugno del ‘63.

Kerouac aveva dipinto il ritratto, oggi esposto al Maga, nel 1959, riprendendolo da una fotografia, comparsa sulla rivista Life nell’autunno precedente.

Come si nota osservandolo, il suo autore non si preoccupa di farne un ritratto accurato nei particolari: ma accentua la sua intuizione (anche premonitoria) d’artista sullo sguardo del personaggio, in quella ispirata espressione degli occhi che i contemporanei del futuro Paolo VI ben conobbero, e ricordano. Altri particolari dell’opera: i colori accesi dell’abito cardinalizio e del cappello dell’importante prelato, oltre che dello sfondo posto alle spalle del soggetto.

Inutile dire che il ritratto, non “bello” secondo banali canoni correnti, sprigiona una forza introspettiva ed evocativa unica. Realizzato nello studio di Dody Muller, risultò particolarmente caro all’artista, che ne motivò le ragioni in una lettera all’amico poeta Ginsberg.

Perché egli si sia soffermato su Paolo VI non è difficile immaginare: di certo l’interesse di tipo spirituale e quello intellettuale, suscitato da Montini in chi lo conosceva, erano già di per sé caratteristiche sufficienti, che s’assommavano e si completavano armoniosamente nel personaggio. Così come la sua predisposizione a guardare agli uomini e alle religioni con uno sguardo unificante che tutto abbraccia nell’universale fratellanza: e che sarebbe poi stata ben ribadita dal suo pontificato, improntato da subito alla continuazione dei lavori del Concilio Vaticano II di Giovanni XXIII e caratterizzata da quel pellegrinaggio apostolico per il mondo da lui avviato e proseguito sotto i successivi pontefici.

I rapporti tra la Santa Sede e gli Usa, già ben radicati negli anni del secondo conflitto mondiale, si rinnoveranno ulteriormente tra il novello Papa e l’America.

Appena due giorni dopo l’elezione di Montini la sorte, e i serrati rapporti diplomatici, fecero sì che avvenisse quel subitaneo incontro tra Paolo VI e John Fitzgerald Kennedy.

Risulta dunque comprensibile ancor più quest’attenzione dell’artista e intellettuale Kerouac per un uomo dello spirito e della mente che avrebbe saputo continuare a guardare oltreoceano, con cuore e occhi attenti (sarà negli Usa nel 1965, primo papa della storia) e che già nel 1960, da cardinale, aveva percorso l’America.

La ricerca spirituale faceva del resto parte della vita di Jack, non meno di quella ossessiva per l’alcool e le droghe.

Lo rivelano in mostra anche numerose opere grafiche, comprese appunto nella sezione “Visioni di Jack”, curata da Stefania Benini, dedicata all’immaginario sacro di Kerouac e a quella sua ricerca interiore mai interrotta. Iniziata con la morte per febbri reumatiche del fratello Gerard, che lui perse quando aveva appena quattro anni, e sempre lasciata aperta, fino alla fine.

Si tratta di un percorso ben individuabile “nei disegni, chiaramente riferibili – come spiegano i curatori – alla cultura religiosa, in particolare di matrice cattolica, che caratterizza una parte notevolmente rilevante della sua produzione”. Le opere grafiche in mostra permettono dunque di rileggere sotto una nuova luce gli scritti più mistici ed ermetici di Kerouac, aprendo a nuove considerazioni e riflessioni dedicate all’universo privato, biografico e psicologico dell’autore.

Questioni e temi dell’opera dell’artista presenti nei disegni in mostra coincidono con quelli che si ripresentano ciclicamente nell’opera dello scrittore: il tema della visione, quello del dolore e della croce, e infine un sincretismo beat che sovrappone e fonde cristianesimo e buddismo.

Abbiamo fatto la scelta di ricordare qui, per RMFonline, solo un particolare aspetto dell’ottima mostra dedicata a Kerouac, che si avvale anche di un esaustivo catalogo scientifico Skira.

Altri aspetti da scoprire attendono chi avrà la curiosità di andare a rivedere, o addirittura avvicinare per la prima volta, grazie proprio a questa rassegna – ricca di opere inedite, oggi al Rivellino, appartenute per lo più al cognato dell’artista, l’erede John Sampas, e poi acquistati dal collezionista Arminio Sciolli – il genio fou di un uomo che faticò molto per vivere.

Consolante è sapere che, se non gli mancarono fino alla fine la sofferenza e il disordine di un vivere border line, sottolineato particolarmente nel suo essere artista, come nota Sandrina Bandera, da “un’inesauribile tristezza”, neppure gli venne meno l’abbraccio di quel Cristo dolente in cui confidava.

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