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Parole

SCUSA

MARGHERITA GIROMINI - 26/01/2018

Il Papa chiede scusa per le sue parole

Il Papa chiede scusa per le sue parole

Virtù rara, quella del chiedere scusa per gli errori o i torti, grandi o piccoli fatti agli altri.

Sembra facile: in fondo si tratta, almeno in un primo tempo, di parole da pronunciare; talvolta servono anche dei fatti, magari azioni riparatrici più o meno clamorose. Ci sono casi in cui si devono fare dei dietrofront, spesso dolorosi, e ammettere che si è stati avventati, o superficiali, o insensibili o altro ancora.

Io non so chiedere scusa, almeno non nel modo che ci ha mostrato Papa Francesco.

Lo so, sono in buona compagnia: conosco poche, anzi pochissime persone che sanno chiedere scusa al momento giusto e nei modi giusti.

Si può ricorrere a modalità non verbali per esternare che si è pentiti di ciò che si è detto o fatto: con il linguaggio del corpo, con gli sguardi, con alcuni gesti come un regalo o una rinnovata presenza accanto alla persona offesa per significarle, senza parole: “Sono qui, mi dispiace, eccomi pronto a fare meglio”.

Quel che è difficile invece, è pronunciare frasi come: mi sono sbagliata, sono stata istintiva, ho agito senza pensare alle conseguenze, mi rendo conto di averti /avervi fatto male.

Eppure basterebbe un generico manuale di psicologia a spiegarci che è l’amor proprio a guidare molte delle nostre reazioni. A farci preferire i sensi di colpa, tutti interni al nostro io, alla possibilità di chiedere apertamente scusa alla persona offesa.

Pochi giorni fa ho assistito alla lezione sul tema che ci ha dato Papa Francesco. Lo abbiamo visto chiedere scusa con semplicità ma con fermezza, con espressione addolorata ma scevra da esagerazioni retoriche. Senza giri di parole, senza tentennamenti, con rigorosa chiarezza.

Durante il volo da Lima, a seguito delle reazioni alle sue dichiarazioni sul caso del vescovo cileno, allievo dell’abusatore Karadima, dichiara ai giornalisti: “La parola ‘prova’ è quella che mi ha tradito. Ho fatto confusione: non volevo parlare di ‘prove’, quanto di ‘evidenze’. C’è molta gente abusata che non può avere prove, non le ha. Magari le ha, ma sente vergogna e soffre in silenzio”. “Devo chiedere scusa – ha proseguito – perché la parola ‘prova’ ha ferito: ha ferito tanti abusati”.

Ora, senza entrare nella complessa vicenda che ha portato il Papa alle scuse, vorrei riflettere sulla positività del gesto.

Se scusarsi non fa stare subito meglio chi ha arrecato l’offesa, di sicuro aiuta l’altro, chi l’ha subìta. Chi si scusa sottolinea la volontà di non voler più ripetere quel comportamento.

Inoltre, ci sono altre conseguenze positive di questa azione: imparare a chiedere scusa è parte integrante dell’addestramento alla vita sociale, migliora le relazioni interpersonali, riduce la rabbia e la contiene, accresce la coesione delle comunità. Chi si scusa dimostra di possedere una buona autostima che gli consente di mettersi in discussione senza timore di sminuire la propria persona.

Apprendo che si dovrebbe chiedere scusa mettendo a fuoco il problema di chi è stato offeso invece che il proprio: lamentarsi per quanto dispiacere si è provocato, dolersi di averlo fatto, finisce col mettere sempre noi al centro della situazione.

Più efficace e più corretto sarebbe invece concentrarsi sulla responsabilità di aver procurato dispiacere all’altro e sulle motivazioni del nostro gesto; cambiare prospettiva, mettersi nei panni dell’altro, capirne lo stato d’animo, desiderare di porre riparo, impegnarsi ad un maggiore rispetto per il prossimo.

Infine, mi scuso sinceramente per la lungaggine. Per esaltare il gesto del Papa ho finito col parlare di me…

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