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Souvenir

OLD PACKAGING

ANNALISA MOTTA - 26/01/2018

sportaFantastici, noi italiani! A sprecare fiato e inchiostro sui sacchetti – biodegradabili – obbligatori -a- pagamento, nell’oceano di problemi in cui a stento galleggiamo.

Mentre negli anni della ricostruzione, il punto era cosa metterci, nell’eventuale sacchetto… che non esisteva ancora, ovviamente, né di plastica, né di carta.

La spesa, la si faceva con la sporta, che poteva essere un cesto, una borsa di stoffa o vilpelle, ma più spesso una rete. E quella la ricordo bene, perché la nonna me la faceva reggere come un premio, quando ci infilava gli acquisti appena fatti. Era una semplice rete di corda a maglie larghe, che si aprivano a losanga, ed era praticamente senza forma e … senza fondo. La potevi riempire all’inverosimile, e sempre la sua pancia accoglieva vorace i più strani oggetti, che poi sporgevano maldestramente a destra e a manca, graffiando, se spigolosi, le gambe di chi la portava.

Dallo spago si passò, con lo stesso modello, al filo di plastica, con il pretesto che non ammuffiva né puzzava se bagnato: due anelli di metallo collegavano la rete al manico, anch’esso di filo intrecciato a mo’ di scoubidou. E già le donne si lamentavano, perché la plastica era scivolosa e spesso i nodi della rete si disfacevano.

Dentro, meraviglia delle meraviglie, ci mettevi i cartocci che le mani del negoziante costruivano con abilità impagabile: dal foglio di carta spessa – azzurro scuro o color senape – che tenevano ritagliata a misura sul bancone, macellaio, droghiere e fornaio con veloci gesti da prestigiatore creavano un involto su misura; lo arrotolavano in cima tra pollici e medi, lo chiudevano ai bordi con gli angoli all’insù, e voilà! Un packaging a tenuta stagna per zucchero, caffè, farina, pasta, riso, carne, semolino, legumi secchi, biscotti, tè … Serviva addirittura per il tonno, che il salumiere cavava con la pinza da una tolla grande e adagiava su un foglio di carta oleata, prima di avvolgerlo nella carta, che gocce d’olio sfuggite a tradimento a poco a poco rendevano trasparente. Ed era materiale totalmente riciclabile: come esca per la stufa, come asciuga tutto, come lista della spesa e addirittura, vicino alla turca, infilzato su in chiodo lungo lungo insieme ai fogli di giornale, come carta (poco) igienica.

A casa, per gioco, ci provavo a fare quei cartocci muovendo goffamente le mani, ma non ci sono mai riuscita. Chissà se esistono ancora epigoni di quest’arte quotidiana, ardua e misconosciuta?

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