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Cultura

WILLIAMS IN BIANCO E NERO

SERGIO REDAELLI - 26/01/2018

Tennessee Williams

Tennessee Williams

“Improvvisamente l’estate scorsa” di Tennessee Williams ha una trama raccapricciante. Una madre non riconosce l’omosessualità del figlio macabramente ucciso dai ragazzi che adescava e, impazzita dal dolore, vuole cancellarne ogni traccia facendo operare al cervello la cugina della vittima unica testimone del delitto. Un dramma scabroso e devastante che ispirò un celebre film nel 1958 con E. Taylor, K. Hepburn, M. Cliff e la regia di J. Mankiewicz. Sessant’anni dopo ecco la versione teatrale del giovane regista varesino William Cisco, 35 anni, ex studente del Cairoli e fondatore nel 2001 del gruppo Teatri della Psychè. Un allestimento sorprendentemente classico in bianco e nero, minimalista. Ricorda il teatro di Cechov in tivù negli anni ’60 e Il giardino dei ciliegi di Strehler al Piccolo.

Disperazione, morbosità, violenza. Temi tipici di Williams. Tutto si gioca nella recitazione intensa e incalzante senza effetti speciali, il dramma cova sotto l’apparente normalità dei personaggi. Il contrasto colpisce tenuto conto che il Cisco regista è l’esatto opposto dell’esuberante Cisco attore e cantante visto in altri spettacoli. “È vero, quando recito sul palco mi scateno – conferma – Ma stando alla consolle e dovendo raccontare una vicenda granguignolesca ho puntato sulla recitazione cesellata, sulla perfezione dei gesti e dei toni delle voci. Il contrasto a teatro è fondamentale, provoca reazioni, cambia gli stati d’animo. Racconto il disfacimento delle esistenze in forma lineare, quasi geometrica”.

La compagnia (Marika Nicora, Matteo Bailo, Chiara Ceddia, Roberta Giani, Venusia Musumeci, Emanuele De Leo) ha un vasto repertorio che va dalla tragedia greca di Eschilo, Sofocle ed Euripide al teatro spagnolo di Garcia Lorca, dai recital di Milva all’America moderna e contemporanea di Tennessee Williams e Wendy Mc Leod. Le location variano dall’Arsenale di Milano alle recite nelle case private, dagli oratori parrocchiali agli spettacoli all’aperto a Villa Toeplitz. Debuttare all’Apollonio fa uno strano effetto, ammette il regista: “Dopo tanti anni non ci speravo quasi più. É la dimostrazione che a Varese si può fare teatro serio, gli spazi ci sono e con buoni impianti audio-luci si fanno regie non banali, calibrate ed emozionanti”.

Gli spazi sono una nota dolente. “Fosse per me lavorerei alla luce del sole che, come dice Vincenzo Raponi, fotografo di scena del cineasta Werner Herzog, non costa nulla. Ma recitare all’aperto è difficile, passano i motorini truccati, sfrecciano gli aerei e magari piove. Allora bisogna andare al chiuso. Il Santuccio è raccolto ma non ha i camerini, non si può piazzare un’americana con i proiettori o piantare un chiodo nel muro. L’Apollonio fino a ieri sembrava blindato e la bella notizia è che ci ha aperto le porte. Ringrazio il direttore Filippo De Santis, l’assessore Roberto Cecchi e l’amministrazione comunale. Peccato che la costruzione del nuovo teatro non sia nei progetti immediati”.

Nel 2010 un giovanissimo Cisco partecipò al programma di Jerry Scotti Chi vuole essere milionario per finanziare la neonata compagnia teatrale e vinse ventimila euro. Intervistato da Scotti disse che la cultura a Varese non era presa in considerazione e che veniva dopo l’elemosina ai poveri. Otto anni dopo conferma questa diagnosi? “Penso che le cose oggi vadano un po’ meglio – risponde – Allora ero arrabbiato, capitava che un festival di musica barocca saltasse all’ultimo momento per fare posto alla sagra della polenta e asino. La prima sede gratuita per le prove l’abbiamo avuta comunque con l’altra amministrazione”.

Da un teatro all’altro, Cisco ha potuto mettere in scena in quindici anni testi suoi e rielaborazioni del teatro classico, gli Eraclidi di Euripide adattato alla Repubblica di Salò sul tema della giustizia, del bene e del male. O l’Antigone di Sofocle, riproposta come performance di gesti più che di parole. “Ho nel cassetto molti altri testi, di tanto in tanto ne tiro fuori uno come il recital brechtiano di Milva. Il canto è importante nella mia vita. Se non facessi il regista canterei. Nel mio adattamento dell’Ippolito c’è una selezione di arie incise su disco dall’amica Cecilia Gasdia. É un testo dimenticato su cui si cimentò a suo tempo Carmelo Bene”.

Cisco alterna prove di regia e prove d’attore ma quale ruolo predilige? Meglio Strehler o Albertazzi? “Nessuno dei due – risponde sicuro – Preferisco Luchino Visconti che travalica i generi dall’opera alla prosa o Pasolini che scandalizza i benpensanti con l’originale rapporto con la fede. Questi sono i miei modelli. Qualcuno li definisce vecchi, per me invece sono alti”. Nel 2015 la passione per il palco ha portato il giovane regista varesino al Teatro dell’Opera di Roma con tre allestimenti alle Terme di Caracalla. Gestiva il casting e i figuranti. Per sbarcare il lunario insegna teatro all’istituto Olga Fiorini di Busto Arsizio e ha curato due regie per il centro sociale Gagarin.

Programmi per il futuro? “Sto lavorando ad un progetto sulla poesia e la ricerca di Dio che vorrei proporre ad Andrea Chiodi per il Festival del Sacro Monte. Il testo parte da un verso di Rilke ed è adatto a quel pubblico. Poi ancora teatro greco e Tennessee Williams. Ho tradotto l’atto unico “Qualcosa di taciuto” mai rappresentato in Italia. Per le opere più celebri (Un tram che si chiama desiderio, La notte dell’iguana, La gatta sul tetto che scotta, Lo zoo di vetro) c’è il problema dei diritti d’autore. È difficile ottenere le autorizzazioni e non posso pubblicare neppure le mie traduzioni”.

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