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Economia

INDUSTRIA 4.0

LIVIO GHIRINGHELLI - 26/01/2018

industriaViviamo nell’epoca della quarta rivoluzione industriale. Dopo quella contrassegnata dalla macchina a vapore, ha fatto seguito quella contraddistinta dal motore elettrico; negli anni ’70 del secolo scorso si è affermato un profondo processo di automazione. Ora è in corso la quarta ondata tecnologica in un mondo aperto e interconnesso da Internet. Questa è una sfida di portata antropologica e di senso e non ci si può ridurre ad un atteggiamento manicheo pro o contro la tecnologia, ad uno scontro di tipo ideologico.

Nel campo della manifattura, che oggi fa registrare una quota di Pil generata in media del 15%, mentre nella strategia 2020 dell’Unione europea si attende che raggiunga il 20% con un investimento di 100 miliardi di euro, si verifica un profondo cambiamento dell’organizzazione, dei tempi e dell’idea stessa di lavoro, fuori e attorno all’impresa.

All’avanguardia dell’ultima rivoluzione industriale figura come sempre la Germania. Sarebbe fatale per l’Italia non reagire in fretta perdendo sovranità tecnologica e industriale, mentre al momento figura ancora seconda nel continente per la manifattura.

 Nel 2014 la spesa totale del nostro Paese per ricerca e sviluppo è stata dell’1,3% del PIL contro il 2,8 % della Germania e l’1,9% della media Ue. Bisognerebbe riorganizzare il sistema di incentivi già disponibili per sostenere l’innovazione nel settore manifatturiero.

 Come fare fronte alla temuta distruzione di posti di lavoro? Come governare il cambiamento? In quale prospettiva di sostenibilità? Soprattutto in termini di rispetto per i valori centrali della persona? Necessitano politiche lungimiranti, senza mai cedere alla paura.

L’industria 4.0, termine invalso grazie alla proposta di H. Kagermann (fisico), W.D.Lukas (fisico) e W. Vahlster (docente di intelligenza artificiale) avanzata alla Fiera di Francoforte del 2011 e assunta nel 2016 dal World Economic Forum, riunito a Davos, contempla nove tecnologie fondamentali: 1) robot autonomi che risultino in grado di interagire e cooperare tra loro e con gli esseri umani e di apprendere da loro; 2) possibilità di fornire informazioni e indicazioni ai lavoratori mentre operano; 3) possibilità di utilizzare e condividere grandi quantità di dati in tempo reale; 4) tecniche di analisi di grandi quantità di dati per migliorare la qualità della produzione; 5) cybersicurezza, al fine di proteggere dai rischi di intrusione le connessioni e lo scambio dei dati; 6) oggetti e macchinari connessi, tramite Internet, all’interno e all’esterno degli impianti, capaci di condividere informazioni; 7) integrazione orizzontale e verticale dein sistemi produttivi; 8) simulazione con ricorso a modelli tridimensionali per valutare le alternative prima di realizzarle; 9) realizzazione di oggetti a partire da modelli digitali tramite stampanti 3D.

Si tratta di tecnologie già utilizzate da tempo; ora bisogna riunirle in una specie di ecosistema coeso. È il momento della bioingegneria ; i rapporti tra uomo e macchina vengono ad essere sempre più integrati.

L’Italia dispone della maggior parte di queste tecnologie, ma è sul piano della loro integrazione che fa difetto specie nelle Pmi. La fabbrica diventa così un sistema interattivo che integra e connette elementi computazionali, esseri umani ed entità fisiche., sviluppando potenzialità enormi. Così potrebbe verificarsi tra l’altro il rientro di produzioni delocalizzate, con grandi opportunità di rilancio europeo (vedi il caso di Fiat Chrysler Automobiles e Whirlpool Indesit).

La tecnologia consente di cambiare la collocazione spazio-temporale della prestazione lavorativa. E diventa cruciale il tema della formazione (qui il diritto più importante dei lavoratori dopo quello alla salute).

La mancanza di una formazione di qualità tende ad essere esclusi dai nuovi processi, per cui è previsto il transito per almeno sette aziende nel periodo che intercorre tra la prima assunzione e la pensione.

La complessità del lavoro esige competenze adeguate. Fa riflettere la considerazione che fino a pochi decenni fa quanto appreso all’Università mutava nel giro di 15-20 anni, mentre oggi il fenomeno avviene nell’arco di 4-7 anni. Perciò si parla di life-long learning, di un sistema di apprendimento che coinvolga l’intera attività lavorativa.

Per il sindacato si tratta allora di avviare progetti di ricerca per elaborare riflessioni, analisi e proposte, che anticipino il cambiamento, anziché farsene travolgere. C’è bisogno di un sindacato agile e intelligente in una “fabbrica intelligente”. Sono temi contrattuali delicati e nevralgici per esempio quelli della formazione continua, della conciliazione vita-lavoro, del welfare integrativo sulla via della affermazione della centralità della persona. Ci deve essere un Sindacato che pensa e ripensa per riequilibrare il rapporto tra capitale e lavoro.

La contrattazione può fare molto nel procedere verso la fabbrica digitale.

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