Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Pensare il Futuro

OLIO DI PALMA E BIOMASSE

MARIO AGOSTINELLI - 09/02/2018

olio-di-palmaMi rifaccio qui a due combustibili naturali di cui spesso si discute con poche competenze anche perché, a seconda che siano bruciati per scopi energetici o impiegati come prodotti naturali per l’alimentazione, hanno impatti ben diversificati e da conoscere preventivamente.

Spesso ci dimentichiamo che l’alimentazione fornisce energia al corpo umano, al pari di come, in altra forma, la fornisce direttamente il sole o la combustione di fossili o di biomasse. Qui li esamino per la loro particolare destinazione: nel primo caso soprattutto quella alimentare, nel secondo caso quella energetica. In particolare, non sono abbastanza presi in considerazione per l’effetto diversificato che questi prodotti vegetali possono apportare alla salute, al clima e all’inquinamento (quante volte ci siamo imbattuti in centrali o stufe che ricorrono a olio di palma o pellets senza chiederci quale destinazione preferenziale dovrebbero avere?)

L’olio di palma. Un po’ di storia: l’olio di palma era usato fin dai tempi dell’antico Egitto, ricavandosi dalla polpa dei frutti di una palma originaria di una vasta zona dell’Africa e poi diffusa nella fascia equatoriale e tropicale, dove è coltivata in 17 Paesi, di cui Indonesia e Malesia rappresentano da soli circa l’86% della produzione mondiale. Sterilizzati con il vapore, i frutti appena colti, sono denocciolati, cotti, pressati e filtrati senza l’impiego di solventi. Se ne ottiene un grasso denso e rosso, in quanto ricco di beta-carotene.

Decolorato e inodorizzato per renderlo più consono all’uso alimentare nel mercato occidentale, appare bianco/giallo, semisolido. Dai semi si estrae invece l’olio dei palmisti, usato per produrre saponi e cosmetici.

L’olio di palma è l’olio vegetale più usato dall’industria alimentare, dai biscotti alle patatine, dai gelati ai cibi precotti e alle salse. È in questi giorni al centro di un dibattito sulla sua pericolosità per la salute, da alcuni sostenuta, da altri negata.

Anche sui social network la discussione tiene oggi banco; ma se nel 2014 la produzione è stata di 60 milioni di tonnellate, ossia il 37 per cento degli oli vegetali di tutto il mondo (al secondo posto, con il 27 per cento, c’è quello di soia), in effetti era usato moltissimo anche prima nei Paesi asiatici come India e Cina. proprio come da noi si usa quello di colza, girasole e oliva (che è ultimo, con solo l’1 per cento). Il ripetuto e ribadito No alla margarina, ai grassi idrogenati, al colesterolo, ha prodotto da parte dell’industria la risposta di avere scelto un’altra sostanza, che costa poco e ha le stesse caratteristiche del burro.

È vero che una delle regole della corretta alimentazione ci impone di moderare l’assunzione di tutti i grassi, non solo di quelli saturi. Oggi tale percentuale corrisponde al 37 per cento di ciò che mangiamo, ma dovrebbe essere minore del 30 per cento.

Tra le proprietà positive di questo olio c’è di certo l’estrema stabilità: anche alle alte temperature non forma idrossidi, cioè prodotti da ossidazione dannosi, tipici dei grassi insaturi quali l’olio di girasole e di arachide risultando quindi molto adatto e molto usato per le fritture industriali. Inoltre, non contiene colesterolo, una molecola animale, presente solo nel burro, nei formaggi, nei salumi e nella carne. Costa poco, rispetto al burro ed è inodore e insapore. Come tutti i grassi saturi ne va limitato il consumo: non dovrebbe superare il 10 per cento delle calorie totali quotidiane. La campagna negativa nei confronti dell’olio di palma prende in considerazione l’acido palmitico, uno dei tre componenti da cui è formato. Il problema non è il solo palmitico, ma è la somma dei tre acidi grassi, palmitico, miristico e laurico, che viene dichiarata da alcuni medici ed igienisti dannosa per le arterie. Rispetto alle altre matrici che contengono i tre acidi l’olio di palma si caratterizza per una maggiore concentrazione di acido palmitico.

Quest’acido è però presente anche nella mozzarella di bufala, nel tuorlo d’uovo e nel latte materno. È importante per la formazione e la stabilità delle strutture, in particolare delle membrane cellulari. Ed è per questo che compare anche nel latte in formula, il cosiddetto latte artificiale. Il latte artificiale si definisce tale quando è per quanto possibile, simile al latte materno, quindi deve contenere anche acido palmitico. Altra cosa è invece bruciare in caldaie a scopo energetico (centrali) questo olio, perché il bilancio in CO2 e in residui inquinanti è largamente peggiorativo.

La resa di una piantagione di palme da olio è impressionante: è 5 volte maggiore di quella di uno stesso terreno coltivato a colza, 6 volte quella del girasole, 9 quella della soia e 11 volte quella di olivo, e non necessita di irrigazioni, perché cresce in zone dove piove molto. Ma la continua e intensiva piantumazione è considerata una delle principali cause di deforestazione e devastazione nel sud est asiatico.

La Biomassa. Perché un materiale organico vegetale o animale possa chiamarsi biomassa e avere un’opportunità sul piano economico-ambientale, in genere si richiede che nasca come scarto di altre produzioni (per esempio il residuo dei frantoi oleari); se coltivato ad hoc come la soia comporta invece un bilancio ambientale negativo che sia disponibile in abbondanza e magari con continuità (per esempio reflui zootecnici), e infine che sia movimentato il meno possibile , ovvero che viaggi poco e sia utilizzato nelle vicinanze: altrimenti potrebbe non essere più rispettata l’uguaglianza “rinnovabile = sostenibile” nel caso in cui per la sua crescita sono utilizzati concimi e viene trasportato con veicoli a combustibile fossile.

Uno dei pregi economico-ambientali delle biomasse è quello di una bassa energia “grigia” (si intende con tale termine l’energia necessaria per produrre energia: come noto, per le fonti fossili l’energia grigia è molto alta). Per quanto riguarda il legno, sono tre i combustibili legnosi compresi nelle biomasse. Pellet, il cippato, schegge di legno vergine i cui mucchi alimentano con buona automazione soprattutto le centrali di cogenerazione o che teleriscaldano residenze ed edifici di interi paesi, (vedi Dobbiaco).

In Toscana la gran parte dei boschi regolarmente tagliati ogni anno (20.000 ettari su circa 1 milione) da proprietari, aziende agricole o ditte compratrici fornisce appunto legna da ardere. Non sarebbe esattamente una biomassa (=sottoprodotto), in quanto la legna è il prodotto principale della coltivazione del bosco. Dal lato della merceologia, del mercato e dell’innovazione possibile la si studia poco, pur avendo un consumo nazionale 10 volte maggiore dello studiatissimo cippato.

Queste informazioni semplici potrebbero stimolare anche in provincia di Varese un ragionamento tra l’alimentare e l’energetico che individui percorsi virtuosi riguardo la manutenzione dei boschi e la salute alimentare

 

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login