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Politica

DOPO IL 4 MARZO

GIUSEPPE ADAMOLI - 09/02/2018

gentiloniIniziata da un pezzo la lunghissima campagna elettorale, e alle spalle la presentazione delle liste, è in corso il confronto programmatico e tutti già pensano a cosa succederà dopo il 4 marzo. Andiamo con ordine.

LE LISTE hanno messo in evidenza la forza della leadership in ciascun partito addirittura con i nomi nei simboli, il che è perfino un controsenso poiché non esiste la figura del candidato premier. Fanno eccezione il M5S che però ha indicato in Di Maio il suo capo indiscutibile e il Pd che un forte leader ce l’ha e non ha bisogno di metterlo sulla scheda disponendo anche di una forte squadra di governo.

Feroce la polemica degli avversari contro Renzi per il suo “controllo” sulle liste. Andrebbe però riconosciuto che non è stato dissimile il lavoro degli altri leader ad Arcore, nelle stanze di Casaleggio/Di Maio o nelle più piccole formazioni. Molti fingono di dimenticare che le candidature del centrosinistra sono state in grandissima parte proposte dai territori come avvenuto qui a Varese dove i due parlamentari già eletti in quanto primi dei listini proporzionali di Senato e Camera sono stati scelti proprio qui.

I PROGRAMMI dei partiti hanno generalmente il vizio di poter essere realizzati in dieci anziché cinque anni ma indicano un indirizzo, una strada, un approdo. Su problemi scottanti come l’Europa, l’euro, l’immigrazione, i vaccini, le pensioni, le tasse, l’aiuto alla povertà, non è affatto vero che non dicano nulla o siano tutti uguali. Anche le promesse sono di grado diverso (alcune davvero iperboliche e inattuabili) ed è augurabile che gli elettori notino almeno le differenze più clamorose.

Il DOPO 4 MARZO sarà complicatissimo e questo dipende da un sistema elettorale per 2/3 proporzionale e per un terzo maggioritario. Se il proporzionale ha incoraggiato la formazione dei piccoli partiti, il maggioritario ha causato, per vincere nei collegi uninominali, delle alleanze contraddittorie che potranno saltare alla prova dei fatti.

I sondaggi non sono per niente oro colato ma tutti indicano la difficolta di formare il prossimo governo e di conseguenza il ruolo delicatissimo che dovrà assumere il Presidente della Repubblica nell’assegnazione anche solo dell’incarico esplorativo.

La coalizione più forte sarà FI-Lega-FdI ma è molto disomogenea ad esempio sul fondamentale rapporto con l’Europa. Forse la minore disomogeneità si riscontra sulla flat tax che è roba che favorisce i ricchi ed è una vera insidia per la tenuta dei conti pubblici. Si tratta di una coalizione che già in passato è stata bloccata dalle diversità e dalle inadeguatezze portando l’Italia sull’orlo del baratro.

Il M5S potrebbe essere il partito più grande. L’ambizione di superare il 40% e governare da soli è già stata però abbandonata e chiederanno appoggio alle altre forze parlamentari. La più contigua, o la meno lontana, appare essere la Lega ma metterli insieme non sarà facile perché Salvini dovrebbe rompere con Berlusconi.

Con la sua coalizione, così piccola che non corre il rischio di sfasciarsi, Il Pd compete con i cinquestelle per la prima posizione ma avrebbe comunque bisogno di robusti partner di cui non si ha notizia almeno fino ad oggi: LeU è lontanissima e comunque non basterebbe.

Questo probabile quadro parlamentare fa pensare alla possibilità che Gentiloni possa continuare con il suo governo per il tempo necessario ad una difficile decantazione politica come avvenuto in Germania, Belgio, Spagna, Olanda e che potrebbe anche succedere a sé stesso con un governo rivisto ed allargato e con l’appoggio di chi ci sta.

L’altra ipotesi è quella di un governo del Presidente affidato ad una personalità non politica (l’esempio di Mario Monti) ma ci sarebbe pur sempre la necessità del sufficiente appoggio parlamentare. Il voto degli elettori sarà più importante che mai.

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