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Opinioni

DIFESA DELLA VITA

ROBI RONZA - 09/02/2018

vitaUna stabile coltre di silenzio mediatico e di censura culturale copre, non solo in Italia ma un po’ ovunque nell’Europa occidentale, la cruciale questione della liceità o meno dell’aborto. Non è invece affatto così nel resto del mondo. Altrove, dagli Stati Uniti a molta parte dell’emisfero Sud, la situazione è infatti assai diversa, anche se cercano di non farcelo sapere (si vedano, utilizzando il suo motore di ricerca interno, quanto già in precedenza abbiamo pubblicato sull’argomento in questo stesso sito).

In tale quadro la Giornata nazionale in difesa della vita, di cui la Chiesa italiana ha celebrato il 4 febbraio la 40a edizione, sarebbe in teoria quanto meno un bagliore nella notte. In pratica invece reticenze e cautele la rendono troppo spesso quasi impercettibile. Quest’anno nella circostanza la Conferenza episcopale, Cei, ha pubblicato un messaggio che meriterebbe invece di venire considerato attentamente. Almeno a giudicare dalla messa vespertina cui abbiamo partecipato, può darsi però che il messaggio non si trovi tra le pubblicazioni disponibili in fondo alla chiesa e che non sia nemmeno citato nell’omelia. Facciamo però presente che grazie a Internet lo si  può rintracciare nel sito della Cei, seppur non molto facilmente.

Citando Papa Francesco, nel messaggio i vescovi italiani situano l’aborto in un ampio orizzonte indicandolo come uno dei più drammatici tra i “segni di una cultura chiusa all’incontro”. E con lui aggiungono che  “solo una comunità dal respiro evangelico è capace di trasformare la realtà e guarire dal dramma dell’aborto e dell’eutanasia; (…)”. Poco serve insomma mobilitarsi per cambiare le leggi se prima non cambiano la realtà delle cose e il comune sentire. E solo una “comunità dal respiro evangelico” è in grado di provocare una tale trasformazione. Ciò beninteso non significa impegnarsi di meno, ma anzi di più; però con un impegno nella vita e nella cultura che  precede quello nella militanza civile e   nella politica. È questo un richiamo molto importante tanto più nel concreto della situazione  del nostro Paese, dove l’aborto è legale e comunque  continuerà ad esserlo anche nel futuro prevedibile.

Quella contro la legalizzazione dell’aborto non è peraltro oggi una lotta condannata dalla storia. Negli Stati Uniti, dove le sue conseguenze nefaste sono anche socialmente sempre più avvertite, si susseguono nuove leggi che in vario modo lo stanno limitando. E alla scala mondiale la maggioranza degli Stati è contraria, tanto e vero che in sede di Assemblea generale delle Nazioni Unite ogni tentativo di definire l’aborto come diritto è stato sin qui respinto.

D’altra parte se per un verso oggi in molte situazioni e circostanze la consapevolezza e quindi la responsabilità della donna che abortisce volontariamente è scarsa o assente, per un altro sta di fatto che negare il valore di persona al “frutto del concepimento” è non solo illecito ma anche irragionevole.

La moderna biologia ha ormai accertato in modo definitivo che dall’embrione fecondato al feto pronto per il parto si giunge nel corso di uno sviluppo continuo, senza interruzioni e senza mutamenti. Da un punto di vista biologico insomma da subito l’embrione è una persona umana, è uno di noi. Perciò il suo diritto a nascere è più forte di ogni eventuale interesse della gestante a interrompere la gravidanza. Si può poi anche pensare – osserviamo noi — a casi-limite in cui alla colpa dell’aborto segua di regola la grazia, oppure non segua una pena di diritto positivo, ma la ragione e la giustizia esigono che la colpa venga comunque riconosciuta.

L’aborto volontario prescinde infatti senza ragione da una delle due parti in causa, il nascituro, che comunque è la parte più debole, e presuppone senza alcun motivo che il concepito non sia persona ma soltanto una cosa, un  “prodotto del concepimento”. E pure del tutto irragionevolmente attribuisce alla gestante — in quanto presunta privata proprietaria  di tale prodotto — il potere di riconoscerlo e di accreditarlo o meno come persona umana. Là dove è legale ignora poi totalmente un altro dato di fatto ossia l’incancellabile ruolo del padre del nascituro. La vita umana sarebbe non qualcosa che vale di per sé, ma  qualcosa che vale solo nella misura in cui la madre del nascituro, accettando la gravidanza, le attribuisce un valore. L’irragionevolezza di tale posizione è evidente. L’aborto volontario è insomma frutto non solo del sonno della coscienza ma anche di quello della ragione.

www.robironza.wordpress.com

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