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Politica

MAI DIRE MAI

EDOARDO ZIN - 16/02/2018

koalitionMentre in Italia ci si azzuffa e si urla proprio quando ci sarebbe bisogno di silenzio e di riflessione per fare spazio all’analisi pacata, alla ricerca di sentimenti ed idee comuni, mentre si accusa i “fascisti” di essere i mandanti morali di una strage evitata, mentre il clima d’odio aumenta e assistiamo all’imbarbarimento delle coscienze, in un paese a noi amico – la Germania – si sta portando a conclusione una lunga crisi di governo tutta improntata ad ottenere un modello di stabilità politica, condizione principale per lo sviluppo di un paese.

Le rivalità tra le due maggiori forze politiche tedesche sono cessate in nome di una ritrovata convergenza su un programma preciso fin nei più piccoli dettagli: è una boccata d’ossigeno per la democrazia germanica, una speranza per il rilancio della politica d’integrazione europea fondata su un supplemento di sviluppo non solo economico, ma anche valoriale, un esempio per noi italiani che nella compattezza d’intenti dovremmo apprendere motivi per ritrovare la gioia di stare insieme, la ricchezza del bene comune, la cui mancanza negli ultimi anni ci ha accecati al punto di inaridire la nostra umanità.

Il 24 settembre scorso, i tedeschi sono stati chiamati alle urne per eleggere i loro deputati al parlamento federale. Dalle urne è uscito un Paese alquanto malconcio che ha stupito l’intera Europa. La Germania è sempre stata un modello di stabilità, ma stavolta così non è avvenuto: il partito della cancelliera Merkel (la CDU) ha perso l’8,6 dei consensi rispetto alle precedenti elezioni, mentre l’altro partito democristiano bavarese ha perso l’11% e il partito socialdemocratico di Martin Schulz il 5,2%, toccando il minimo storico (20, 5%): un risultato dal quale traspare la stanchezza dell’elettorato tedesco per la “Grosse Koalition” che ha governato per otto anni negli ultimi dodici anni. A risultati conosciuti, il leader SPD Schulz dichiarava che i socialdemocratici non avrebbero accettato di rinnovare l’alleanza con la CDU-CSU.

I numeri usciti dalle urne sembravano indicare una soluzione obbligata: una coalizione a tre: CDU e CSU, liberali, rientrati in parlamento dopo quattro anni di assenza, e i Verdi. Alleanza inedita, definita – nel gergo politico tedesco – “coalizione Giamaica” dai colori prescelti dai tre schieramenti che riflettevano quelli della bandiera dello Stato caraibico. Le consultazioni non apparivano facili, viste le distanze fra Verdi e Liberali in tema di Europa e ambiente. Improvvisamente, i liberali decisero di abbandonare le trattative negoziali: gesto assai poco gradito a frau Merkel!

Poi entrò in scena, con la sua autorevolezza, il presidente federale, il socialdemocratico Steinmeier, che spingeva per una priorità assoluta: salvaguardare la stabilità politica tedesca, essenziale per l’immagine europea e internazionale della Germania. Vincendo le riluttanze di Schulz e facendo appello al senso dello Stato dei socialdemocratici, Steinmeier invitò SPD, CDU e CSU a trovare punti convergenti per un programma di “Grosse Koalition”, precipitosamente e leggermente bocciata da Schulz la stessa sera del 24 settembre.

I contatti tra i tre partiti, protrattisi per oltre un mese, sono culminati nella notte tra l’11 e il 12 gennaio e ben elencati in un documento di 28 pagine. In esso vengono fissate le linee programmatiche fondamentali per un eventuale nuovo governo di coalizione. I dirigenti dello SPD hanno convocato i delegati ad un congresso straordinario per pronunciarsi sulla prima intesa e continuare i negoziati con i democristiani. Con una maggioranza molto risicata, dovuta alla contrarietà dei giovani “rottamatori”, e che getta un’ombra su Schulz stremato e in cattive condizioni di salute, l’SPD ha approvato il negoziato.

L’aspetto più importante di questo documento è costituito dal fatto che esso si apre con una lunga ed articolata professione di fede europeistica. Viene auspicato, infatti, un forte rilancio dell’Ue per “un’Europa più vicina ai cittadini e più trasparente”. In tal modo, i tre partiti intendono dare finalmente una risposta alle proposte avanzate da Macron nel suo discorso alla Sorbona, sviluppo che apre prospettive positive per l’Europa e nelle quali l’Italia dovrebbe inserirsi apportandovi un proprio fattivo contributo. Avremo modo di analizzare meglio in futuro questo primo punto del programma del nuovo governo tedesco. Per ora limitiamoci alla politica interna.

La politica è mediazione, incontro, dialogo, ricerca di punti in comune, buona volontà per trovare ciò che unisce piuttosto quello che divide. È proprio quanto realizzato dai tre partiti della coalizione dopo una faticosa maratona negoziale trascinatasi per 25 ore. I democristiani della CDU e della CSU hanno ottenuto il rifiuto dell’aumento delle aliquote di imposta per i più facoltosi, un “tetto” massimo annuale all’immigrazione, la limitazione dei ricongiungimenti familiari con profughi già presenti sul suolo tedesco. I socialdemocratici hanno portato a casa un forte aumento della spesa pubblica (grazie, bisogna ammetterlo, alla politica di austerità instaurata dal ministro del governo precedente Schaeuble) senza tuttavia compromettere il mitico obiettivo del bilancio in pareggio, il ritorno alla ripartizione paritaria (tra imprenditori e lavoratori) dei contributi dell’assicurazione sanitaria, il mantenimento del rapporto minimo del 48% tra pensioni e retribuzioni, massici investimenti per istruzione, ricerca, telematica, ingenti spese aggiuntive per asili nidi ed edilizia popolare.

Si potrà presentare il nuovo governo al Parlamento per ottenere la fiducia? Per il momento no, perché l’ SPD sottoporrà all’approvazione degli iscritti, mediante voto per corrispondenza, il programma concordato con i democristiani. A rendere un po’ più complicate le vicende è venuta l’improvvisa decisione di Schulz, designato in un primo momento alla carica di Ministro degli Esteri. Non si conoscono le ragioni alla base della sua rinuncia. A me sembra che gli nuoccia la radicalità con la quale ha espresso posizioni che poi non ha potuto mantenere. Spero, però, che le tensioni scaricatesi sull’ex Presidente del Parlamento Europeo non rendano più difficile un approdo ancora non del tutto sicuro.

La crisi in Germania dura ormai da più di quattro mesi. Eppure dalla stampa tedesca e dalle dichiarazioni dei vari leaders non si notano toni accesi, contrapposizioni, accuse volgari come assistiamo ogni giorno in Italia. Dalla lezione tedesca dovremmo imparare che in politica non si deve mai dire “mai”, che il dialogo condotto con serietà d’intenti può portare a buoni risultati, che i compromessi (non gli inciuci!) in politica sono il sale della democrazia, che la mediazione del capo dello Stato, ligio al dettame costituzionale, è sempre foriero di buoni risultati. A due condizioni: che non si pensi al contingente, ma al bene delle generazioni future e che ci si presenti agli elettori con programmi fattibili. Se si accettano queste due condizioni ci potrà magari essere una “neutralità politica”, ma non certo una “neutralità morale”!

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