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Spettacoli

IL FESTIVAL VINCE SEMPRE

MANIGLIO BOTTI - 16/02/2018

sanremoSta bene così, dunque. Ermal Meta e Fabrizio Moro hanno messo in riga i gerontofili di ogni ordine e grado, compresa la “vecchia la che balla”, sempre famosa sui social, e che arriva però seconda, e hanno vinto la sessantottesima edizione del Festival di Sanremo, già passata alla storia come il Festival-Baglioni, dal nome del co-conduttore e direttore artistico.

Sono due giovanotti, rispettivamente di 37 (Meta) e 43 anni (Moro), e non due ragazzi, ma –davvero – meglio i loro vagiti delle performance da casa di riposo di alcuni. La loro canzone – Non mi avete fatto niente – è un po’ paracula, almeno nel testo. E ha fatto penare le giurie in quanto, dopo la prima esibizione, c’era stata un’accusa di plagio, anzi di autoplagio, in quanto somigliante nella melodia ad altri brani degli stessi autori, che sono stati prima sospesi e poi fatti rientrare. Alla grande.

La carica dei delegati del Pio Albergo Trivulzio è stata contenuta – a parte il gruppo giovanile dello Stato sociale che aveva portato sul palco una ballerina over ottanta – anche da un terzo posto assegnato alla cantante Annalisa, 32 anni, che aveva presentato il Mondo prima di te, capintesta del suo nuovo album Bye Bye.

E diciamola ancora qualcosa a margine di questo sessantottesimo Festival, il Festival di Baglioni più che di Sanremo, come annunciato prima. Giusta o sbagliata che sia. Delle prove dei presentatori che hanno dato una mano a Baglioni: la bella e simpatica “svizzerotta Michelle Hunziker, col sorriso stampato in servizio permanente effettivo, e l’ “attor giovane” Pierfrancesco Favino, talentuoso oltre ogni dire; delle apparizioni di Rosario Fiorello, al Festival quasi per controllare che tutto andasse bene in vista magari di una conduzione prossima e ventura; dei grandi presenti, stranieri – James Taylor – e italiani, Gianna Nannini, la Pausini, Morandi, Paoli… Tra cui poi non si può non ricordare l’imitatrice e comica Virginia Raffale, brava e carina.

E pregevole, tutto sommato, anche il Dopofestival che costringeva il colto pubblico e l’inclita guarnigione televisivi alle ore piccole con l’attore e regista Edoardo Leo e la brava, e anche ragionevolmente sexy, Sabrina Impacciatore. Un clan dei romani e di romani, ma c’era da aspettarselo con Baglioni alla guida, già reuccio di Centocelle e del Prenestino.

Voto sufficiente, infine. Ormai da anni la manifestazione sanremese è una sorta di incontro nazionale all’insegna della leggerezza, in un mondo che purtroppo di leggero non ci offre quasi più nulla. Ma non è il Festival della canzone italiana, e forse non è più neanche un Festival della Tv, un mix di Rai e Mediaset che si scambiano i personaggi, com’è da quando è stato spalmato su cinque giorni invece dei tre canonici – giovedì, venerdì e sabato – di una volta, con canzoni e cantanti in gara, eliminazioni, sofferenze e tragedie per una canzonetta non gradita o bocciata dalle giurie.

Il vero Festival, ma non farebbe discutere più di tanto, sarebbe forse quello delle giovani proposte: vinto quest’anno da Ultimo (al secolo Niccolò Moriconi, 21 anni, anch’egli romano…) con la canzone il Ballo delle incertezze. Inevitabile la banalissima battuta: l’Ultimo arrivato primo con tanti auguri di lunga vita canzonettistica. Almeno quanto quella di Claudio Baglioni – cinquant’anni di onorata carriera – uno dei cantanti italiani più noti. Non è un caso che una trentina di anni fa Pippo Baudo lo chiamò sul palco dell’Ariston per consacrarlo, proprio a Sanremo, lui che non è mai stato un cantante “di Sanremo”, del fatto d’avere scritto Questo piccolo grande amore, definita la più bella canzonetta italiana del secolo. E se non la più bella una delle più belle e famose.

Lo si dice tutti gli anni. Bisogna rivedere e rimettere olio in qualche ingranaggio. Anche nelle denominazioni. Perché il Festival non è un oggetto sconosciuto – nel 1953, in occasione della sua terza edizione, il Corriere della Sera gli dedicava un trafiletto di tredici righe tredici – e, purtroppo per l’Ultimo, non è nemmeno una vera e propria rampa di lancio di nuovi e forse un giorno famosi personaggi (quella di Francesco Gabbani dello scorso anni s’è rivelata una sorpresa, un’eccezione che conferma la regola). È una manifestazioni carnevalesca e celebrativa. Con premi – doverosi – alle carriere e sfilate sul palco di personaggi, in gara oppure ospiti, ma quasi sempre attempatelli. Com’è inevitabile.

La conduzione di Baglioni, nel caso, s’è rivelata una delle migliori scelte che si potessero fare: bravo, sensibile, romantico e furbetto il giusto, professionista serio e perfezionista fino alla maniacalità e senza farlo apparire. E – scoperta – dotato anche di una buona dose di sense of humour. Come lo fu qualche anno fa (un po’ meno) con Gianni Morandi.

Per intanto, si diceva, si pensa da subito all’edizione del 2019 forse di nuovo con Baglioni, verso il quale si dice sia già cominciato il corteggiamento, ma con un Fiorello in agguato. E potremmo aspettarci, vedendo l’andazzo, anche la ricomparsa, che so, di un Celentano o di un Paoli o di una Nannini o di un De Gregori. E via discorrendo. Questi discoli della canzonetta italiana…

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