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Attualità

REALISMO

EDOARDO ZIN - 23/02/2018

europa“Qual è secondo te il tratto distintivo di questa campagna elettorale?” mi chiede, durante una rimpatriata, un amico con cui ho spartito un tratto della mia gioventù nell’impegno politico.

“Ti dirò che mi guardo attorno spaesato – gli rispondo – in cerca di qualcuno che mi indichi la strada dell’eroismo della ragione non per essere posseduto dalla politica, ma per potermi rendere ancora utile alla società. Mi preoccupano il degrado della politica, l’esacerbata conflittualità e la mancanza nei programmi in una visione storica pressante: quella di continuare il processo di unificazione europea.”

“Quindi, anche tu sei pessimista…” continua l’amico.

“No, sono realista. Mi guardo attorno, constato, rilevo, ascolto, leggo e traggo la certezza che la politica si è perduta nel deserto del chiacchiericcio, nel vuoto creato dai social media, nella ricerca del protagonismo dei primi attori. Non è più la politica d’oggi il fuoco che riscaldava i cuori, la luce che illumina un cammino impervio, difficoltoso, che si percorre con altre persone per arrivare tutti assieme ad una meta. Il fuoco degli ideali sta esplodendo in violenza, rancore, odio. Non c’è più la tensione ideale, il processo critico, la capacità creativa che ha menomato tutto un popolo. Se molti uomini politici non hanno successo è perché non l’hanno mai cercato, hanno inseguito solo il potere. Il grande rischio che corre la politica, oggi, è che, abbandonate le ideologie, si abbandoni alla disarmonia tra potere e critica. Anche noi avevamo un sogno: allargare la base democratica unendo le forze cattoliche con quelle laiche e socialiste e avevamo capito che il primo passo per custodire questo sogno era quello di “andare a bottega” nei circoli, leggendo i discorsi, talvolta sonnolenti, dei grandi leader, studiando Weber, Sturzo, partecipando ai congressi, intervenendo talvolta controcorrente. Ci arrendevamo soltanto davanti al pensiero di coloro che riuscivano a convincerci. Oggi il pensiero è stato sostituito dall’immagine, il ragionamento dalle urla di chi grida più forte, le parole dagli insulti, dalla ricerca dello scandalo da riversare sull’avversario, da promesse che non potranno essere mantenute…”

“Mi piace sentirti dire queste cose, ma ti ricordo che ad un congresso tu stesso rimproverasti severamente un politico, che faceva sfoggio della sua coscienza religiosa, ma che non si accordava nello stesso tempo ad una coscienza morale…”

“Me lo ricordo bene quel momento. I pochi delegati presenti in assemblea mi fischiarono. Ma pochi attimi prima, quando avevo citato Jacques Maritain, che rifiuta il principio machiavellico secondo il quale il perseguimento di un fine buono giustifica il ricorso a mezzi eticamente discutibili, mi avevano applaudito. Oggi chi si dedica alla politica si barcamena tra la propria coscienza, le convinzioni del capo e le richieste dell’elettore pur di non compromettere la propria “carriera”. Tutto ciò porta a una forma degenerativa della politica che fatica a non riconoscere il valore della convivenza in uno stesso partito, e cioè la diversità. Le conflittualità vanno gestite, regolate, temperate e mediate dai leader, non esasperate. La stessa artificiosa ed esasperata conflittualità sociale va combattuta rendendo leale e civile il confronto democratico e riconoscendo la parte di verità presente anche nelle posizioni degli avversari. Il conflitto deve restare sul piano ideale, ma oggi assistiamo a beghe da cortile o a zuffe tra galli nello stesso pollaio che indulgono a scontri personalistici nei quali non mancano vituperi del tutto estranei alla sostanza dei problemi. A me pare che oggi tanti dirigenti politici vadano alla ricerca dei conflitti per colmare il loro vuoto di idee.”

“E dell’Europa che cosa pensi?”

“Il discrimine oggi non è più tra destra e sinistra, tra liberali, socialisti e democratici, ma tra europeisti ed antieuropeisti. All’avvicinarsi delle elezioni italiane anche i partiti euroscettici o ipercritici hanno cambiato, per opportunismo o per vantaggio elettorale la loro idea sull’Europa, sapendo che la maggioranza degli italiani – pur continuando ad essere un po’ biasimatori dell’Europa – ha consapevolezza che al di fuori dell’Europa non c’è salvezza. Renzi, di cui ricordiamo una certa sua animosità verso Bruxelles, ha imbarcato nella sua coalizione la convinta europeista Emma Bonino, Berlusconi non parla più di “doppia moneta” e si è riconciliato con frau Merkel, anche i 5 Stelle, che avevano proposto un referendum per uscire dall’euro, ora sono pro-europei: saltare sul cocchio di chi potrebbe vincere è uno sport praticato da molti, come lo è seguire l’onda dominante per maggior comodità o per pigrizia mentale, come dimostrano con le loro elucubrazioni da stadio gli aderenti alla Lega: essere ferventi, convinti europeisti è una necessità per l’Italia. Guarda cosa scrive il “Die Welt”, riportando l’accordo di governo in Germania: “la Germania ha nei confronti dell’Europa un’infinita gratitudine”. Mi è sembrato di ritornare agli anni dei padri fondatori, quando pace, prosperità, solidarietà nella sovra-nazionalità erano i pilastri su cui si fondò la prima Comunità. Questa affermazione, posta nell’accordo per il nuovo governo, prosegue elencando promettenti e, per un certo verso inedite, aperture in materia di solidarietà come il rilancio della produttività, della convergenza sociale, di sostegno alle riforme strutturali “che potrebbero essere il punto di partenza per un futuro bilancio per gli investimenti nell’area dell’euro”. A dar man forte alla Germania è la Francia: “il rinnovamento dell’UE avrà successo solo se Francia e Germania collaboreranno con tutte le loro forze…Vogliamo sviluppare per quanto possibile posizioni comuni sui principali temi della politica europea ed internazionale e dare l’esempio in settori in cui l’UE a 27 non è in grado di agire con efficacia.”

In tema di migrazioni, l’UE “dovrà assumere la sua responsabilità umanitaria ed allo stesso tempo organizzare e gestire meglio i flussi”. Francia e Germania si propongono dunque come esempio e guida degli altri venticinque, Italia compresa.

Andando a votare, gli italiani, soprattutto i giovani, dovranno pensare che, grazie all’Europa, sono stati sconfitti i nazionalismi, l’assolutizzazione dei confini, la pulizia etnica. Ma non ne siamo ancora totalmente indenni. Lo spettro di nuove purificazioni rischia di animarsi soprattutto verso i diversi. Il rischio è di regredire agli aspetti peggiori dell’Europa prima della seconda guerra mondiale. Siamo noi, europei, gli artefici del nostro destino: sarà bene ricordarlo il 4 marzo!

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