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Opinioni

VARESE GLOBALE

ARTURO BORTOLUZZI - 23/02/2018

Eindhoven, in Olanda

Eindhoven, in Olanda

Varese per poter affermarsi quale città aperta ai cittadini deve guardare al ruolo globale delle città del Rinascimento specie toscano.

Imparerà, allora, finalmente ad avere una propria visione e a guardare in avanti facendo lavorare (e non mettendo inspiegabilmente in naftalina) l’associazione Varese europea, che ha proprio la finalità di rafforzare il ruolo del capoluogo, mantenendo a livelli il più alto possibile la qualità di vita delle persone e dando alle realtà imprenditoriali la possibilità di potersi sviluppare appieno, conformemente alla legge. Questo è quanto incredibilmente non accade.

Negli Stati Uniti, sindaci e amministratori locali si confrontano direttamente con sfide d’insieme – l’integrazione degli immigrati, la transizione economica, il cambiamento del clima – dalle quali la politica federale si è ritirata o si muove in opposizione. La retorica della politica federale ha dato luogo a leggi sostenute da gruppi di opinione conservatori, intese a frenare gli sforzi in alcune città di espandere la banda larga, alzare i salari minimi, disciplinare la share-economy, o governare la sicurezza.

In tutto il mondo si vedono sindaci che cambiano il modello delle politiche pubbliche. Un caso notevole è quello di Copenaghen dove, per non incidere sulla tassazione, lo sviluppo commerciale di ampie aree pubbliche è stato affidato a un management autonomo secondo criteri privatistici. Come in altre città scandinave, i proventi commerciali derivati anche dalla vendita di imprese locali vengono poi investiti in progetti di lungo termine, per migliorare la vita dei cittadini e la loro istruzione. Fenomeni simili si vedono negli Usa: a New York dove l’amministrazione incoraggia la diversificazione delle attività produttive, a Houston dove la nuova edilizia per gli immigrati sta facilitando la loro integrazione, a Miami dove si punta su nuovi legami commerciali col Brasile, a Denver e Los Angeles dove crescono quartieri con servizi alla frontiera tecnologica, a Boston e Detroit dove si punta sui distretti dell’innovazione che superano anche il raggio urbano.

Tra i fenomeni più interessanti c’è la rinascita delle città industriali che stavano uscendo sconfitte dalla trasformazione industriale causata dalla globalizzazione. In aree settentrionali dell’Ohio, attraverso ricerca e investimento nei nuovi materiali, è in atto una riconversione di industrie che sembravano avviate all’estinzione. Un caso spesso citato è quello di Eindhoven, grazie anche ai fondi europei, la città olandese in crisi per la delocalizzazione degli impianti Philips ha riconvertito gli spazi urbani e industriali con l’applicazione estensiva di nuove tecnologie che accompagnano il cittadino nelle minime esigenze quotidiane. Con il 4% della popolazione olandese la città produce ora il 37% dei brevetti e il 24% della ricerca. Varese, per esempio, non è stata invece capace di rinvigorirsi per la delocalizzazione della Whirpool. Esperienze simili in Europa sono in corso a Malmö, Dresda e Oulu (Finlandia); e ad Akron, Albany, Raleigh, Minneapolis-St.Paul e Portland negli Usa. Sono i vecchi centri della “rustbelt”, gli impianti industriali arrugginiti, che si convertono in “smart cities”. Alcuni la hanno definita una “rivoluzione metropolitana” che non avviene ad opera solo di funzionari eletti, ma di imprese, università, società mediche, sindacati, istituzioni culturali e filantropiche.

Nel frattempo i governi centrali, a Roma come a Washington, sono sempre meno in grado di fornire sviluppo e benessere. In pratica oltre metà delle risorse nazionali sono destinate a programmi sociali determinati dai cambiamenti demografici delle società. Percentuali che aumenteranno con l’invecchiamento della popolazione. Negli Stati Uniti la spesa discrezionale a disposizione dell’amministrazione è di circa il 15-18% del bilancio, una quota che non è mai stata tanto bassa. La spesa federale per la ricerca è calata di un terzo in 12 anni. A livello nazionale la spesa sociale viene erogata con modelli che risalgono agli anni 50, ma le innovazioni vengono ostacolate perché soggette alla strutturale polarizzazione ideologica di Washington. Il distacco tra la capitale e le realtà locali è cresciuto dopo l’eliminazione nel 2011 delle voci di spesa locali dal bilancio federale che rappresentavano gran parte del lavoro dei senatori e dei deputati. Il risultato è che l’autorità centrale, il “sovrano rimpianto”, coincide con debito e consumi, mentre i centri urbani pensano a investire e integrare. La colorita presidenza Trump dà la falsa impressione di aver rimesso Washington al centro della politica, ma probabilmente alla fine del quadriennio si capirà ancor di più che il potere del centro è declinato rispetto a quello delle aree metropolitane dove si produce il 90% del reddito americano.

Al di là di questo excursus storico in giro per il mondo, ho chiesto al presidente della Commissione Area Vasta del Comune di Varese di convocare una seduta invitando il Professor Gioacchino Garofoli dell’università dell’insubria (teorico di Varese europea) e il vicepresidente nonché tesoriere dell’associazione Varese europea, Alessandro Di Gregorio. Si potrà così finalmente parlare diffusamente su di una realtà associativa che si può, con deliberazione democratica, cancellare ma non ignorare.

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