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Zic & Zac

EXTRAPATRIOTI

MARCO ZACCHERA - 01/03/2018

votoesteroPer loro – gli italiani residenti all’estero che volevano votare per le elezioni politiche – è già tutto finito, nel senso che i seggi si sono già chiusi e le schede non arrivate in tempo ai consolati verranno distrutte.

I plichi consegnati, invece, dopo una lunga serie di potenziali irregolarità, verranno presi in carico, spediti a Castelnuovo di Porto (una ex caserma vicino a Roma) e lì domenica notte comincerà uno scrutinio che, se non sarà più ordinato delle ultime edizioni, prenderà presto l’atmosfera di un suk arabo finché dopo un paio di giorni saranno ufficialmente comunicati i nomi di 12 nuovi deputati e 6 nuovi senatori.

Una legge datata, fortemente voluta dall’ ex ministro Mirko Tremaglia ma adatta ad una realtà di 50 anni fa e non di oggi, che da sempre ha favorito brogli pazzeschi ed irregolarità, ma che in buona sostanza non si è voluto rendere decisamente più trasparente nonostante le mille denunce.

Il problema è che gli italiani all’estero sono diversissimi tra di loro, sparsi in tutto il mondo, italiani appena espatriati messi insieme a gente che in Italia non è mai venuta e ha conquistato un passaporto perché (forse) un nonno del bisnonno emigrò a fine ‘800 recuperando una (presunta) cittadinanza negli anni ’90 quando in Sudamerica avere anche una nazionalità europea serviva per non morir di fame, andando in Spagna o negli USA a cercar fortuna.

Ne ho conosciuti a migliaia di italiani all’estero, dal Canada all’Australia, dal Cile ad Hong Kong e che insieme rappresentano quasi 4 milioni di potenziali elettori (i numeri degli elettori divergono dalle liste di anagrafe consolare, ed anche questo è un bel mistero) di cui un po’ più di un quarto esprime un voto, da sempre tacciato di inquinamento.

Tra voto per i Comites ed elezioni politiche ho visto di tutto: schede votate “a pacco” con lo stesso pennarello arancione, consegne di camionate di plichi di schede (presumibilmente comprate a sacchi) ai consolati argentini e brasiliani, raccolta di voti nelle sedi stesse dei patronati di mezzo mondo tra anziani che non capivano di cosa si trattasse e pensavano fossero moduli Inps.

Non so quest’anno, ma nel 2006 in America del Sud un saccone dell’immondizia colmo di plichi da compilare “valeva” circa 100 dollari americani e forse per questo al seggio 621 di Buenos Aires una lista prese 1200 voti alla Camera e 25 al Senato, l’esatto contrario di un’altra che gli stessi voti li conquistò al senato e quasi nessuno alla Camera. Particolare curioso: di quei 1200 voti mi pare che 1178 fossero i voti di preferenza alla stessa persona che evidentemente aveva comprato i voti poi “ceduti” ad un candidato nell’altra Camera (di un altro partito) per recuperare sui costi.

Proprio recentemente mi hanno confermato che anche quest’anno a Perth (Australia) c’è chi paga i ragazzini 10 dollari locali per ogni scheda raccolta nelle buche delle lettere, nei bidoni dell’immondizia, negli altri dei palazzi: non ho visto di persona e mi limito a riferire, ma temo sia la sacrosanta realtà, d’altronde ricordo bene un filmato girato in Belgio dove un garage era stipato letteralmente fino al tetto di bustoni (ogni emigrante riceve le schede e le istruzioni in un plico voluminoso), residui di voti per procura.

I Magistrati hanno spesso parlato di “manifeste irregolarità” ma tutto è sostanzialmente rimasto come prima, anche perché il trucco è sempre di raccogliere le schede prima della loro compilazione e nei quartieri italiani di “bustoni” non recapitati ce n’erano casse intere.

Le schede non viaggiavano raccomandate ma per posta ordinaria (dove c’è) quando non affidate ad imprese private per la consegna (come in Argentina): su centinaia di migliaia di plichi se magari un terzo non viene consegnato perché nel frattempo l’emigrato ha cambiato domicilio o residenza (o semplicemente non è a casa quando arriva il postino) le buste vagano, dovrebbero essere ritornate al mittente ma se non ritornano o ne tornano di meno al consolato di partenza nessuno può saperlo, tanto non c’era ricevuta di ritorno.

Oltretutto le schede arrivano di solito in una famiglia di italiani, dove qualcuno può compilarle per tutti.

Un quadro desolante che questa volta dovrebbe aver portato a provvedimenti di maggior trasparenza (speriamo) ma sui quali è lecito dubitare come puntualmente verrà denunciato dai perdenti la prossima settimana.

Fin qui il voto, ma cosa ne pensano gli italiani che votano all’estero? Bisogna distinguere di quali italiani stiamo parlando e dove risiedono.

In Europa sono italiani esattamente come noi, informati ogni giorno ed infatti il voto sostanzialmente riflette quello espresso in Italia. Giocano le classi sociali, il luogo di residenza, la professione. Più ci si allontana più sopravvive una percentuale sempre minore di italiani informati e consapevoli, anche se rispetto a qualche anno fa i nuovi mezzi sul web hanno fatto moltissimo per avvicinare le persone e trasmettere notizie.

Prima era solo RAI International (di solito con canali a pagamento) a monopolizzare l’informazione oltre a qualche bollettino politico o parrocchiale e a quei pochissimi quotidiani o settimanali stampati nel mondo in lingua italiana, con lettori sempre più falcidiati dall’età e dagli anni di lontananza.

Conta infatti molto l’età: i giovani recentemente emigrati (emigrano più di 100.000 italiani all’anno di cui oltre 60.000 laureati o diplomati, una realtà sconosciuta) hanno una percezione politica ben diversa da ottantenni che arrivarono negli USA, in Canada o in Australia nel dopoguerra da bambini e che non hanno mai parlato italiano, ma solo il dialetto del proprio paese.

Gente che a volte non sa più nulla del paese d’origine perché non ci è più tornato: “Onorè, ma ci stanno ora i semafori in Italia?” mi sentii chiedere in un circolo italiano a Melbourne da un calzolaio napoletano emigrato proprio nell’anno in cui sono nato.

Non ultimo c’è un spesso un rifiuto della patria-matrigna che ha costretto ad andarsene alla ricerca di un lavoro ed è anche per questo che due terzi degli aventi diritto non votano e buttano le schede.

Tremaglia aveva tutte le ragioni di chiedere il voto per gli italiani emigrati, ma allora erano realtà chiuse, popolari, antiche enclaves regionali o di paese ora – cambiato il mondo – dovrebbe cambiare anche il sistema di voto.

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