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Attualità

L’ODE ITALICA

MANIGLIO BOTTI - 09/03/2018

napoleone

Napoleone in viaggio per sant’Elena

Non esistono più le stagioni di una volta, la cosa è sotto gli occhi di tutti. (Anche se un po’ di neve marzolina non è poi una grande novità, e anche il freddo…). Non esistono più le stagioni di una volta, dunque, ma nemmeno i partiti di una volta e con i partiti i loro leader.

A chi paragonare Gigi Di Maio o Matteo Salvini? Non v’è traccia di stelle e stellette nel passato, anche se nel Meridione il M5S (e un po’ anche la Lega) ha fatto strame di voti. Forse a epigoni di Guglielmo Giannini?

E il centrodestra? Come dire che un moderato e liberale – almeno così s’è sempre proclamato Berlusconi – doveva fare a tutti costi alleanza, anche solo per vincere le elezioni o per governare a Milano, con un difensore della “razza bianca”. Quindi, un Einaudi o un Benedetto Croce un po’in crisi – Iddio ci perdoni – ma passato attraverso un annetto di servizi sociali in un casa di riposo brianzola in quanto condannato per evasione fiscale. Tutto dimenticato. Forse sì.

Il popolo degli sconfitti, intanto, ha fatto subito quadrato. Intorno a sé stesso. Criticando i vertici e dimenticando i giocatori in campo. Così, come nella Nazionale di calcio espulsa dai mondiali di Mosca i primi a essere segnati a dito e cacciati con ignominia sono stati il ct Ventura e il presidente Tavecchio. Quindi, via (non nel senso della strada) Renzi. Ma – tanto per restare nel Pd – per sostituirlo con chi? Con Emiliano? con Rosato? con Orlando? con la Boschi? E se Bersani e D’Alema rientrano? Scelte difficili…

La sensazione è che in Italia ormai non si dovrebbe votare più ogni quattro o cinque anni, ma una volta la settimana. Perché i salti dall’altare alla polvere e le risalite e di nuovo le cadute ormai si contano quasi mensilmente. Si è del tutto convinti, per esempio, che a Roma la sindaca Raggi, eletta quindici mesi fa, oggi sarebbe stata riconfermata?

La storia, in proposito, è prodiga di informazioni. Alle Europee del 2014 il Partito democratico fece registrare il 40,8 per cento dei voti, più del doppio delle Politiche di oggi 2018 (che è stato “pur sempre” un 20%, non un 2%) e Matteo Renzi divenne in un batter d’occhio una specie di genius loci, di salvatore della patria, un novello De Gasperi di una quarantina d’anni, più o meno.

E da allora tutti al lavoro per remare contro questa specie di indesiderato, ingombrante astro nascente (Berlusconi davanti a tutti), e Renzi ruzzola da una china all’altra: prima alle Amministrative e poi – agli inizi del mese di dicembre – il tonfo clamoroso del referendum sulla proposta di riforma costituzionale, i cui vincitori – guarda caso – sono stati gli stessi che hanno trionfato alle ultime e recenti Politiche.

Con qualche piccola variante: il Berlusca che ha pagato pegno all’alleato leghista non si sa ancora se più furbo, ma di sicuro più giovane. Perché questo, nonostante le mamme italiane non facciano più figli, mentre li fanno in termini logaritmici le mamme africane, non dev’essere un paese per vecchi.

L’esultanza, entusiastica ma fragile, per la vittoria delle elezioni – come se tutto in Italia si fosse fermato al 4 marzo del 2018 e da lì debba ripartire per magnifiche sorti e progressive – lascia un po’ il tempo che trova. Gli esempi nella storia di gente che cade, risorge e giace (il Manzoni parlando di Napoleone ne fece un’ode) sono molto numerosi. Qualche volta ci pensano gli elettori, volubili come il vento. Qualche altra si applicano gli imperscrutabili disegni del destino o, per chi ci crede, del Padreterno.

E così si ricomincia daccapo.

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