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Sport

ARTISTA DELLA CORSA

FRANCESCO BORRI - 09/03/2018

arcelliNel parco storico varesino di Villa Toeplitz una pianta simile a quelle sopravvissute alla bomba atomica di Hiroshima (Ginkgo biloba) ricorda da qualche giorno Enrico Arcelli, scomparso nel 2015. È l’omaggio alla virtuale immortalità del precursore dei moderni metodi di preparazione atletica nel calcio. Come ogni avanguardista, egli fu criticato dagl’ignari di trovarsi al cospetto del fondatore d’una scuola epocale. Arcelli -medico sportivo, scrittore, docente universitario, scienziato dell’alimentazione- creò una delle eccellenze italiane nel mondo: i maestri dell’arte di saper correre, e non solo dietro a un pallone. Il tutto, con esemplare umiltà.

Alla cerimonia, promossa da un gruppo d’amici guidati da Giacomo Ierardi, erano presenti la moglie e i figli di Arcelli, il sindaco Galimberti, il vicesindaco Zanzi, l’assessore De Simone, autorità accademiche, esponenti sportivi, molti podisti ed ex podisti.

Ecco che cosa scrivemmo su RMFonline quando Arcelli, con sua grande gioia, venne richiamato al Varese, pochi anni fa.

Un grande che ricomincia dai piccoli. Un ritorno al passato. Un abbraccio al futuro. Enrico Arcelli e il Varese s’erano già rincontrati l’anno scorso, quando convennero su una consulenza del professore a favore della squadra Primavera. Adesso -ieri l’altro, per la precisione- si sono stretti la mano sottoscrivendo un impegno più intenso. Diverso. Importante. Arcelli -che l’Italia sportiva conosce per l’avanguardismo nella preparazione atletica, nella medicina al servizio degli atleti, nella scienza dell’alimentazione- entrerà nell’organico del Varese. Non darà più un apporto solo esterno ed estemporaneo. Lo darà dall’interno e con regolarità. Si assumerà il compito di sovrintendere al lavoro degli allievi, i ragazzini di tante speranze ai quali si affida la tenuta economica della società. Perché se il vivaio sforna buoni giocatori, le finanze non vanno mai male. Lo sa Scapini, il mago dei baby, e lo sanno il presidente, l’amministratore delegato, il direttore generale che con Scapini concordano e decidono.

Come mai il gusto d’una simile sfida, per uno come Arcelli che di sfide non necessita, avendone accettate e vinte in grande numero? “Perché -dice lui- nel calcio c’è ancora molto da migliorare, e per farlo si deve cominciare dalla base e non certo dal vertice. Siccome credo in questa possibilità, e mi piace l’idea di misurarne l’impatto sul piano reale, ho condiviso con i dirigenti del Varese il progetto dedicato ai giovani. Anzi, ai giovanissimi. Che spesso non esprimono l’intera potenzialità di cui dispongono ed è un danno per l’intero movimento”.

Intera potenzialità significa, oltre al bagaglio tecnico, ottimizzazione delle doti atletiche; prevenzione degl’infortuni e recupero adeguato nelle occasioni in cui serve; corretto modo di bere e di mangiare. “Di venticinque ragazzi che iniziano a giocare a football -osserva Arcelli- di solito arrivano al professionismo in due. È un numero che si può almeno raddoppiare seguendoli con cura”.

Per esempio insegnandogli a correre. Correre non è così naturale e semplice come può sembrare. Scattare ancora meno. Si commettono caterve d’errori nell’accelerazione. E vi si può ovviare, usando tra l’altro la modernità tecnico-informatica: con un Ipad si filma l’allenamento del singolo, glielo si fa rivedere, vengono individuati i difetti da eliminare, eccetera. I difetti stanno, altro esempio, anche nel modo d’alimentarsi: un cibo che pare banale come la verdura è un cibo la cui metodica assunzione può perfino fungere da antidoto agl’infortuni. Insomma: esistono decine di fattori che mettono un limite al percorso di crescita e affermazione d’un giocatore, ed è tale limite che l’opera di Arcelli nel Varese cercherà di rimuovere.

Per la società si tratta d’un grande acquisto. Di un’esperienza che servirà anche a livelli più alti delle squadre allievi (magari, tanto per cominciare, servirà a capire se Neto può stare di più in campo che in infermeria). Di un modo per garantirsi il futuro, e dunque di consolidarsi e addirittura di segnalarsi come modello. Un po’ quel che accadde nel ‘71/’72 quando Maroso chiamò Arcelli, che presiedeva il settore medico delle giovanili, a collaborare alla prima squadra. Fu subito quarto posto in serie B. E l’anno successivo, presidente Guido Borghi, venne conquistata una promozione clamorosa, dopo aver venduto quattordici giocatori, non averne comprato nessuno e essere diventati il bersaglio d’ironie e contestazioni. Paragonato al Besozzo, il Varese si trovò ad affrontare Juve, Milan e Inter.

 

M.L.

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