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Politica

ILLUSIONI

EDOARDO ZIN - 16/03/2018

esherNell’attesa di conoscere i risultati del voto del 4 marzo, trascorrevo il tempo a leggere un libro di André Fontaine: ”Un seul lit pour deux reves” (“Un solo letto per due sogni”).

 Conosciuti i risultati, afferrai meglio il significato del libro: anche l’Italia (il solo letto) aveva due sogni. Si guardi bene: sogni notturni che svaniscono al risveglio, non progetti da realizzare con vigoroso realismo, magari a costo di sacrifici; deliri, non desideri che si possono accettare con la passione del cuore e non con le effimere provocazioni. Sogni come fuga dalla realtà in contrasto con le realizzazioni, frutto di conoscenza e non d’informazione. Sogni, non intenzioni che abitano nel nostro cuore per essere realizzate per il bene di tutti e provvedere al destino dell’intera comunità. Allucinazioni che riducono la ragione a proclami, a promesse che guardano all’utile, a ciò che più fa comodo e non a atti concreti per i quali vale la pena di battersi, a uscire da noi stessi per aprirsi agli altri.

Queste illusioni sono subito sparite, fuggite, fallite e ogni sogno è svanito: chi aveva promesso che sarebbe arrivato al 40% necessario per governare è stato umiliato; chi si vedeva già seduto a Palazzo Chigi e con una bacchetta magica avrebbe imposto la flat tax, abolito la legge Fornero, l’uscita dall’euro si è accorto che, per praticare queste millanterie ha bisogno di una maggioranza che non trova, così pure chi aveva garantito il reddito di cittadinanza.

I due veri vincitori, il Movimento 5 stelle e la coalizione di destra – tutta la coalizione! – hanno il dovere di governare, ma devono cercarsi una maggioranza, a meno che non vadano alla ricerca di parlamentari “responsabili” indotti a cambiar casacca, proprio come quelli che una volta venivano chiamati “transfughi”.

Il PD ha subito una sconfitta pesantissima. Si va ora alla ricerca del capro espiatorio. Io sono un elettore che sarebbe considerato reprobo da Matteo Renzi, ma non gli addosserei tutte le colpe. Ha compiuto errori madornali: credere di dottrinare gli elettori con la sua fluida parlantina fiorentina e con le sue slide, pensare che la politica dei “bonus” ricevesse consensi continuativi senza impiegarli per una riforma strutturale, impegolarsi nel concedere diritti civili a pochi e non impegnarsi per quelli sociali che riguardano molti, non battersi per concedere lo “ius soli et culturae” a chi da anni è integrato nel nostro paese, consentire un’ assurda legge elettorale confezionata per battere i pentastellati e non per dare governabilità al paese, parlare più agli iscritti del suo partito che non al Paese, farsi circondare non da saggi, ma da insipienti. Il rottamatore non è il solo responsabile: non lo sono di meno i suoi cortigiani, coloro che l’hanno vezzeggiato, adulato, nascondendogli la vera realtà del paese. Il PD, partito al governo, non ha assunto su di sé l’impopolarità di dire la verità sulla situazione economica del Paese che sta migliorando, è vero, ma che ha bisogno di essere rafforzata con una politica espansiva e di crescita. Determinate misure sarebbero state necessarie per il bene dell’Italia e dei nostri figli e non sono state assunte per non rischiare l’impopolarità.

 Si è preferito, come fanno di solito i politici con un esercizio di cui Renzi è maestro, scaricarne le colpe sull’Europa. Francia e Germania attendevano dall’Italia un forte impegno per rilanciare l’economia europea, un bilancio e una regolamentazione fiscale comuni. Il voto del 4 marzo in Italia allontana l’Europa da questo progetto.

Il “letto Italia” è ora conteso tra i 5 stelle e la coalizione di destra. In campagna elettorale avevano promesso mari e monti senza ponderare il fatto che per applicare le promesse occorre trovare risorse o aumentando le tasse (ma entrambi l’hanno escluso!) o diminuendo la spesa, proponendo di ricorrere a quei miseri sotterfugi, quali la diminuzione dei costi della politica o l’abolizione dei vitalizi ai parlamentari, che possono accendere sì l’animo di chi vota, ma non certo contribuire a ridurre i 2.228 miliardi di debito pubblico.

 Sì, perché i nostri futuri pretendenti a Palazzi Chigi fingono di non sapere che i vincoli europei ci obbligano a contenere il nostro rapporto debito/PIL sotto il 3%, in maniera di diminuire il debito. Gli altri stati membri dell’eurozona, al contrario, sanno bene che l’euro, che noi italiani abbiamo in tasca, non è frutto solo del nostro lavoro, ma anche del loro e nutrono dubbi sulla crescita della nostra economia, sulla sostenibilità del debito pubblico legata alle scelte di politica economica degli ultimi tre anni.

Salvini propone di uscire dall’Europa o dall’euro (non si capisce bene perché cambia pensiero a giorni alterni!). Liberissimo di farlo, ma riconosca che con lui la pensano poco più di diciassette italiani su cento.

Anch’io non sono d’accordo con questa Europa, che ha alla sua base economica un impianto neo-liberista, mitigato da un’economia sociale di mercato, ma tenterò, da semplice cittadino d’Europa, a battermi perché questa tendenza venga corretta. L’euro è stato il frutto del generoso tentativo della seconda generazione dei padri fondatori (Ciampi, Delors, Kohl) per imprimere il sigillo della compiutezza e dell’irreversibilità del disegno d’integrazione europea, che rimane il successo storico più rilevante dell’epoca moderna.

L’Europa è stata ignorata nell’ultima campagna elettorale e coloro che l’hanno condotta dovrebbero chiedere scusa non solo agli elettori che sono stati ingannati, ma alla logica e alla realtà, a meno che l’aderenza alla logica e ai fatti si sia ormai da considerare un fastidioso orpello.

Che cosa succederà ora? Spetta al Presidente della Repubblica ascoltare i partiti, trovare una maggioranza, inviarla alle camere o indire nuove elezioni e, nel frattempo, fare lavorare l’attuale governo in carica.

Nuove elezioni non cambieranno granché se gli elettori non si convinceranno che l’Italia potrà continuare ad essere unita sì, ma nel rigore, nel rispetto delle regole, nella trasparenza e non nei fragili tatticismi dei partiti. Italia unita, concorde significa pensare agli altri, soprattutto ai più bisognosi, e far prevalere, pur nel contrasto, una reciproca fiducia tra i partiti, che hanno esaurito la cultura politica di cui erano espressione.

Scrivo queste note alla vigilia del 40° anniversario del rapimento di Aldo Moro e dell’uccisione della sua scorta. Mi sovvengono le sue parole:” Senza alcuna flessibilità democratica, senza concordia, senza respiro storico, senza un’elevatura morale, questo Paese è destinato a spegnersi”. Da una bella raccolta di poesie di una cara amica traggo questa speranza: ”Sentire la lievità delle illusioni/il loro essere fragili, fugaci/ ma trovare traccia profonda/ di un destino che unifica/ e che si possa dire/ “io ero, io sono, io sarò”,/ con questa sostanza ed essenza, in questa forma e presenza”. Ecco la risposta ad Aldo Moro.

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