Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Apologie Paradossali

PLACUIT DEO

COSTANTE PORTATADINO - 16/03/2018

placuit(S) Placuit deo, piacque a Dio, ma piacerà al pubblico questa ‘Lettera della Congregazione per la dottrina della Fede ai Vescovi della Chiesa Cattolica’? A me è sembrata ben lontana dallo stile di Francesco, molto colta, persino astratta, difficile a comprendersi per la gente comune, insomma molto diversa dallo stile diretto di Francesco. Come mai ne ha sollecitato la pubblicazione?

(C) Non mi piace abbandonarmi a dietrologie, specialmente se non ne sono davvero a conoscenza. Mi ha comunque sorpreso lo scarso rilievo datole dai mezzi di comunicazione, dopotutto si tratta di un evento molto raro. Per questo vi ho proposto di dedicarle una apologia. Comincio col dire che ha avuto un tempo di preparazione molto lungo, praticamente da quando nel 2000 la stessa Congregazione pubblicò Dominus Iesus, un documento analogo, firmato dall’allora card. Ratzinger. Allora ci furono polemiche e lamentele soprattutto dai cristiani non cattolici, cui parve una posizione antiecumenica, Ma non è il caso di entrare in questa polemica, che oggi non si ripresenta. Invece la redazione di questo documento e soprattutto la sua pubblicazione hanno avuto un’insolita accelerazione. Comincerei col notare che l’intenzione della Lettera è perfettamente esplicitata nell’introduzione:

“L’insegnamento della salvezza in Cristo esige di essere sempre nuovamente approfondito. Tanto più oggi, in quanto il mondo contemporaneo avverte non senza difficoltà la confessione di fede cristiana, che proclama Gesù unico Salvatore di tutto l’uomo e dell’umanità intera”.

(O) Aspetta, mi occorre subito una spiegazione. Qual è questa difficoltà?

(C) La cultura contemporanea rifiuta l’idea di una ‘salvezza’ possibile grazie ad un aiuto soprannaturale perché nega fin dall’origine la natura più che umana del male. Il ‘nemico ‘è qui, l’inferno è qui, non deve emergere da un abisso di fiamme e di tenebre. Le guerre mondiali, la shoah, la minaccia atomica, il disordine ecologico sono state esperienze sufficienti, secondo questa cultura silenziosamente dominante a trasferire l’angoscia apocalittica da un lontano futuro soprannaturale ad un prossimo e quasi immediato fatto constatabile, totalmente dipendente dalla volontà e dall’azione di altri uomini. Ma se la minaccia deriva da come gli uomini agiscono nel mondo, i mezzi per resistervi possono e devono essere altrettanto intramondani. La salvezza è prodotta dai comportamenti, individuali o collettivi, spontanei o dettati dalla legge, che impediscono l’affermarsi del male. A che serve cercare una salvezza che venga dal di fuori di ‘questo’ mondo?

(S) Certo che non serve! Non serve se non cambia gli uomini e quindi il mondo. O viceversa? Non cambia prima il mondo e quindi gli uomini?

(O) Mi pare chiaro che quest’ultima idea sia stata definitivamente abbandonata anche dagli ultimi materialisti, in Russia come in Cina e, direi, persino a Cuba e in Nord Corea. Il tentativo cinese, anzi, è interessante proprio per il recupero in atto del confucianesimo come base morale per creare un’unità di popolo. Non capisco perché debba essere preoccupante l’idea di migliorare il mondo attraverso il miglioramento degli uomini.

(C) Qui sta la difficoltà di comprensione della Placuit Deo. Proprio per non spingersi ad esempi contemporanei, di difficile esplicitazione e che sarebbero suonati inutilmente polemici, la Congregazione si rivolge esclusivamente a due eresie del passato, che hanno il pregio di descrivere efficacemente le due principali tentazioni dell’ateismo contemporaneo: il pelagianesimo, che con il rifiuto della sostanziale decadenza nel peccato addita nello sforzo morale la via della liberazione dal male, mentre lo gnosticismo, come dice il termine stesso, ritiene che basti la conoscenza (gnosi) a rendere felice l’uomo, liberandolo dai limiti della materia e portandolo ad una piena realizzazione personale, raggiungibile per l’individuo, nonostante gli ostacoli frapposti dalle forze consolidate e ostili del potere e del denaro.

Lo spiega meglio di me la Lettera: “Da una parte, l’individualismo centrato sul soggetto autonomo tende a vedere l’uomo come essere la cui realizzazione dipende dalle sole sue forze. In questa visione, la figura di Cristo corrisponde più ad un modello che ispira azioni generose, con le sue parole e i suoi gesti, che non a Colui che trasforma la condizione umana, incorporandoci in una nuova esistenza riconciliata con il Padre e tra noi mediante lo Spirito (cf. 2 Cor 5,19; Ef2,18). D’altra parte, si diffonde la visione di una salvezza meramente interiore, la quale suscita magari una forte convinzione personale, oppure un intenso sentimento, di essere uniti a Dio, ma senza assumere, guarire e rinnovare le nostre relazioni con gli altri e con il mondo creato. Con questa prospettiva diviene difficile cogliere il senso dell’Incarnazione del Verbo, per cui Egli si è fatto membro della famiglia umana, assumendo la nostra carne e la nostra storia, per noi uomini e per la nostra salvezza”.

(S) Capisco il conflitto con la mentalità contemporanea, totalmente pragmatista, mi sembra più strano affrontarla in un modo timido, quasi reticente, come si parla a nuora perché suocera intenda.

(C) Credo che Francesco sia arrivato ad un momento critico del suo pontificato e che la Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede sia un tentativo di aiuto. Nello stesso senso valuto la pubblicazione dei suoi undici libretti teologici e la lettera che gli ha offerto Ratzinger in questa occasione. Me l’hanno fatto capire due passi, che vi riporto, di un articolo di Andrea Tornielli che ho trovato in Vatican Insider:

“Uno sguardo attento a partire dalla realtà può innanzitutto prendere atto che – al di là del possibile “effetto Bergoglioˮ sui numeri delle confessioni, oggi controverso – un messaggio è passato dalle parole e dalla testimonianza personale di Francesco. E questo messaggio è il volto di un Dio misericordioso. E quindi di una Chiesa che spalanca le braccia, va a cercare chi è lontano, non ha pregiudizi su alcuno, mostra tenerezza e prossimità a chi soffre nel corpo e nello spirito, accoglie e ama prima di giudicare perché a sua volta è stata amata e perdonata. Una Chiesa che cerca di essere fedele al Vangelo e pertanto si lascia ferire e mettere in discussione dal Vangelo, senza rinchiudersi nel fortino dei purisenza innalzare barriere, senza chiamarsi fuori dall’appartenenza all’umanità piagata e in ricerca, a quell’umanità che domanda. Come la folla che duemila anni fa seguiva e inseguiva Gesù di Nazareth, mentre gli uomini di religione e di legge del suo tempo cercavano di contrastarlo. È questo messaggio, è questo sguardo, la “riformaˮ di cui c’è più bisogno. Quella riforma dei cuori che può sgorgare soltanto dalla conversione personale. Tutto il resto, comprese le riforme strutturali, o servono a questo scopo, o risultano quando va bene, inutili, quando va male, dannose”.

Condivido totalmente questo giudizio, vi riconosco il grande dono ricevuto da tutta la Chiesa attraverso il ministero di questo autentico ‘pastore’ di pecore disperse e ferite. Ma più avanti Tornielli avverte:

“Ciò di cui si sente la necessità, è, invece, il riconoscimento del bisogno assoluto che la Chiesa ha di essere continuamente rigenerata dal suo Capo (che non è e non è mai stato il Papa, che del Capo è soltanto il vicario). Quello di cui c’è bisogno nella Curia come in ogni diocesi, parrocchia, comunità ecclesiale, è la coscienza su ciò che è essenziale. È la coscienza dello scopo per il quale la Chiesa esiste. Che non è quello di insegnare al mondo come si amministra un’azienda o una banca, o come si usano al meglio i mezzi di comunicazione o i social, o ancora di come si organizzano le grandi strutture collegiali, etc. Lo scopo della Chiesa è quello di riflettere una luce che non è mai stata e mai potrà essere una luce propria (come invece finiscono per credere i neo-pelagiani). È da questo sguardo di una Chiesa cosciente dei suoi limiti e del peccato dei suoi uomini, che può sgorgare qualcosa di nuovo. Solo una Chiesa che vive del Vangelo può attrarre (e crescere per attrazione, come dice Papa Ratzinger). Solo una Chiesa che non si presenta come una multinazionale e non confida sulle sue “best praticesˮ o nelle strategie di marketing pastorale, ma si abbandona al suo Signore, può evitare che i messaggi diventino slogan vuoti di significato, o peggio, slogan che servono per coprire nuovi conformismi e nuove cordate”.

(O) Capisco meglio il doppio avvertimento di Tornielli, pensando che proprio in questi giorni ricorre il quinquennio dell’elezione di Francesco. Sebbene non debba sottoporsi come un politico alla riconferma elettorale, è logico pensare che, facendo un bilancio, sia pure spirituale, abbia pensato di dover risottolineare certi aspetti del suo ‘programma’, affiancarvi altre sottolineature più tradizionali e mandare qualche avvertimento a chi pensasse di poterlo spingere in direzioni troppo condizionate dal desiderio di piacere al mondo. Non vorrei assumermi l’onere di una conclusione, visto che ne ho sottomano una migliore di qualunque predichetta che potrei inventare, quella della Placuit Deo:

Conclusione: comunicare la fede, in attesa del Salvatore

La consapevolezza della vita piena in cui Gesù Salvatore ci introduce spinge i cristiani alla missione, per annunciare a tutti gli uomini la gioia e la luce del Vangelo.] In questo sforzo saranno anche pronti a stabilire un dialogo sincero e costruttivo con i credenti di altre religioni, nella fiducia che Dio può condurre verso la salvezza in Cristo «tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia». Mentre si dedica con tutte le sue forze all’evangelizzazione, la Chiesa continua ad invocare la venuta definitiva del Salvatore, poiché «nella speranza siamo stati salvati» (Rom 8,24). La salvezza dell’uomo sarà compiuta solo quando, dopo aver vinto l’ultimo nemico, la morte (cf. 1 Cor 15,26), parteciperemo compiutamente alla gloria di Gesù risorto, che porterà a pienezza la nostra relazione con Dio, con i fratelli e con tutto il creato. La salvezza integrale, dell’anima e del corpo, è il destino finale al quale Dio chiama tutti gli uomini. Fondati nella fede, sostenuti dalla speranza, operanti nella carità, sull’esempio di Maria, la Madre del Salvatore e la prima dei salvati, siamo certi che «la nostra cittadinanza è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose» (Fil 3,20-21)”.

 

(S) Sebastiano Conformi (C) Costante (O) Onirio Desti

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login