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Opinioni

BUONA SCUOLA

LIVIO GHIRINGHELLI - 23/03/2018

scuolaIn aprile sono stati approvati dal Governo i Decreti legislativi previsti dalla Legge n.107 / 2015 detta della Buona Scuola. Non si tratta di una mera attuazione, bensì di correttivi da considerare alla stregua di una miniriforma. Vi sono contemplati settori nevralgici del sistema scolastico, sempre in fase di adeguamento, relativi al reclutamento e formazione professionale degli insegnanti, alla valutazione degli studenti, all’inclusione degli alunni disabili e al sistema prescolare.

La formazione dei docenti è prevista nell’arco di circa sette anni dopo il conseguimento del diploma per accedere all’insegnamento. Si è passati dalle Scuole di specializzazione (SISS), istituite nel 1990, al Tirocinio formativo attivo (TFA) della Riforma Gelmini (2010) a norme ora più conformi alla realtà (si consideri che attualmente molti docenti compiono il tirocinio attraverso le supplenze, inglobate nel percorso formativo). Così si introduce, dopo il superamento di un concorso pubblico nazionale, un percorso triennale di Formazione iniziale e tirocinio (FIT) con una procedura di accesso ai ruoli a tempo indeterminato, che sarà a regime tra dieci anni, previo il superamento delle valutazioni sia intermedie che finali.

Invece la Buona scuola ipotizza a torto di risolvere i problemi del precariato in due anni. Si può oggi constatare che i docenti non risultano troppi rispetto alle esigenze, quanto male distribuiti tra le varie discipline e le diverse aree geografiche (deficit per matematica e scienze nella scuola secondaria di primo grado ad es., esubero per quanto concerne la disciplina del diritto). Il rapporto tra posti disponibili e titolari si configura al sud oltre il 90%, mentre al Nord è sotto il 70%. Da noi ci sono più posti che docenti. Il calo demografico previsto nella scuola di primo ciclo non farà che aggravare la situazione.

Per quanto concerne i dirigenti scolastici, dopo la riforma attuata da Luigi Berlinguer nel 1998, nel quadro dell’autonomia e della relativa responsabilità di gestione, va avvertita l’assurdità di una situazione in cui i Presidi sono schiacciati dalle incombenze che derivano dalla gestione amministrativa burocratizzata (sono ridotti spesso a passacarte) rispetto alla delicatezza e importanza di una funzione globalmente intesa a privilegiare l’aspetto educativo come l’autonomia esige. O si risponde in toto o ci si limita ad applicare diligentemente, ma passivamente, le direttive dell’Amministrazione.

Dal punto di vista della valutazione degli studenti a fine ciclo questi sono i miglioramenti addotti: lo svolgimento delle prove INVALSI per il primo ciclo è anticipato dalla sede di esame al mese di aprile, escludendo la loro valutazione dal voto finale complessivo ; in sede d’esame di Stato del secondo ciclo è cancellata la terza prova. Per potere accedere all’esame sono introdotte le prove INVALSI ad aprile dell’ultimo anno. Si dà quindi un indirizzo dopo l’altalena tra centralismo e autonomia tipica degli ultimi anni.

Lo scopo dei testi INVALSI, più che alla valutazione degli studenti, mira a un grado di rispondenza confortante ai parametri nazionali, evitando disfunzioni e abusi, che tradiscono il senso autentico dell’autonomia. Non si dà autonomia senza valutazione.

Per il diritto allo studio sono stati stanziati 60 milioni di euro. Il fine è quello di garantire livelli di prestazione comuni, servizi essenziali per i quali va assicurato l’accesso non solo ai più bisognosi, ma a tutti. Prima alle scuole paritarie ci si limitava allo sconto fiscale. Ora viene loro riconosciuta pienamente la funzione di equipollenza stabilita dalla Costituzione, di piena natura pubblica. Le Commissioni d’esame del primo ciclo risultano per la prima volta del tutto interne. Col Decreto sul sistema integrato di educazione ed istruzione dalla nascita ai sei anni (D. Lgs. N.65/2017) è sancito definitivamente il sistema duale del segmento, senza preminenza dello Stato.

Per la formazione professionale si è riformato per la quarta volta questo settore in quattordici anni. È un settore schiacciato nel dualismo tra Stato e Regioni (cui la Costituzione assegna la competenza esclusiva in merito). Se coi Ministri Moratti e Gelmini si pensava a una progressiva riduzione del sistema statale dell’istruzione professionale a favore di quello regionale, ora si rende necessario un iter al contrario, in ragione del fatto che in molte regioni la formazione professionale regionale non riesce proprio a decollare. Il D. Lgs. N.61/2017 rende l’istruzione professionale statale più simile a quella regionale che funziona (regioni settentrionali). Fondamentale è l’osmosi continua tra in due sistemi.

Il D. Lgs. N. 66 / 2017 cerca per la prima volta di dare un quadro normativo all’integrazione degli studenti con disabilità nella scuola, affermando il diritto alla continuità del sostegno educativo da parte dell’alunno disabile e al contempo il dovere della scuola di fornire al disabile un personale specialistico. Bisogna che l’insegnamento sul sostegno diventi un percorso professionale più specifico e tendenzialmente definitivo.

Un’idea unitaria sulla scuola oggettivamente è mancata, ma positivi senz’altro e irreversibili sono stati gli elementi dell’autonomia, della centralità dello studente rispetto ai programmi, dell’attenzione alla formazione del docente. In tempi non lontani neppure un esame di pedagogia o psicologia era previsto, nessuna pratica sul campo.

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