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Politica

POTERE GIALLOVERDE

MASSIMO LODI - 30/03/2018

dimaiosalviniSalvini afferma di giudicare le persone dai fatti anziché dalle parole. Se applicasse il criterio a sé stesso, come si valuterebbe? Dopo aver sprezzato i Cinquestelle, ora vi si accompagna, fiero dell’esternazione di Grillo pro eo: un tipo affidabile. Ricambiando l’encomio (“Sull’M5S si può contare”), Salvini fa seguire alle parole prevoto fatti postvoto di segno contrario. Si sentenzia: così è la politica. È facile obiettare: l’agire tattico ha dei limiti, costituiti dalle promesse dispensate agli elettori. Quelle della Lega e dei pentastellati erano assai diverse. Meglio: confliggenti tra di esse. Val la pena di rispolverare la memoria in omaggio alla verità storica. L’asse che prima passava per inciucio (Berlusconi-Renzi), ora passa per senso di responsabilità, delle istituzioni, del bene nazionale eccetera (Di Maio-Salvini).

Naturalmente ogni accordo è lecito. Ma ogni dissidenza pure, specialmente quando tira aria di presa in giro. Non è vero che il possibile evento-crash (governo Lega-Cinquestelle) sia consentito, se non imposto, dal sistema proporzionale, grazie al quale tutti i partiti sono liberi di prendere voti per sé e quindi d’usarli come gli pare e piace. I partiti raccolgono (hanno raccolto) il consenso sulla base d’impegni numerosi e chiari, lasciamo perdere se realizzabili o meno. Nel caso in cui, pur di andare al potere, li disattendono, che credibilità meritano?

Se Lega e Cinquestelle si metteranno insieme per guidare l’Italia da Palazzo Chigi dovranno piegarsi a ben altro che un provvido compromesso. Ciascuno dei due snaturerà la sua ragion d’essere politica pur di sposare l’altro. Basti rammentare cosa raccontavano Salvini e Di Maio su economia, immigrazione, sicurezza, rapporto con l’Europa, perfino sui diritti civili: narrazioni con nulla in comune, e spesso di critica radicale proprio verso il detestato contendente ora divenuto il circuìto partner.

Né vale ripetere, a mo’ di scusante, che Berlusconi e Renzi l’han combinata grossa al medesimo modo. Berlusconi e Renzi strinsero il patto del Nazareno per simul riscrivere -e questo è legittimo ed auspicabile- le regole del gioco ovvero la riforma costituzionale e la legge elettorale. Ma restarono avversari politici, tanto che l’accordo svanì quando ciascuno andò per la sua strada nella scelta del successore di Napolitano alla presidenza della Repubblica.

Di Maio e Salvini intendono invece costruire un’alleanza che duri l’intera legislatura, abbia un programma condiviso, dia rappresentanza politica unitaria al populismo da entrambi finora incarnato, ma con scelta di argomenti, slogan, platee differenti. Li unisce la voglia di conquista del potere, costi quel che costi e basta così. Ne sono dimostrazione fresca, nella trattativa per eleggere i presidenti di Camera e Senato, la liquidazione di Berlusconi da parte di Salvini e quella dei grillini ortodossi da parte di Di Maio. La domanda da porsi non è se i due ce la faranno a conseguire il loro obiettivo. È se il raggiungimento dello scopo da parte dell’inedita coalizione gialloverde non causerà all’Italia un danno peggiore di quelli dal sorprendente tandem imputati ai governi succedutisi negli ultimi anni.

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