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Attualità

IL PARTITO DELLA BISTECCA

MANIGLIO BOTTI - 30/03/2018

Gesù chiama Zaccheo

Gesù chiama Zaccheo

Che dire del Partito della bistecca? O del Partito dell’ombrella: mangià, béev e fa’ andà la… ? Se ne parlava molto – ricordo – nella seconda metà degli anni Cinquanta, quando i “grandi” si ritrovavano all’osteria a giocare a carte e a sproloquiare e i bambini, come me, si rintanavano nella saletta a vedere la Tv dei ragazzi o stavano in un angolino a leggere la Gazzetta o La Prealpina.

Allora la parola “populismo” manco si sapeva che cosa fosse esattamente. I voti a un politico (e commediografo) come Guglielmo Giannini, che subito dopo la guerra aveva inventato l’Uomo Qualunque, partito di un certo successo che aveva per simbolo un omino schiacciato da un torchietto, erano già stati ampiamente metabolizzati nella Democrazia cristiana e, forse, in parte anche nel Partito comunista.

Ma l’idea che l’equazione sacrificio zero = benessere infinito, almeno in quegli anni, appariva proprio una battuta da osteria, invece di un obiettivo politico perseguibile. Si rideva, ci si dava una pacca sulla spalla e si tornava a casa – a piedi o in bicicletta –, pensando che il giorno dopo ci si doveva alzare – magari all’alba – per andare al lavoro, o a scuola…

Non so se oggi sia davvero così. È il tempo dei redditi (più che dei diritti) abbastanza ampi e sufficienti acquisiti solo per fatto di essere cittadini italiani o, addirittura, per il fatto di essere nati nel Bel Paese (e coloro che per loro sventura nascono nel Malawi?). È il tempo della felicità da raggiungersi e da ottenersi in qualsiasi modo. Trovate geniali, s’è sentito affermare qualche giorno fa in una trasmissione alla radio.

Al di là della politica, della diplomazia, dei rapporti di forza, delle guerre e delle pacificazioni, delle sofferenze e delle gioie, facendo un parallelo tra la vita di ogni giorno e un qualsivoglia agire, sono ragioni che vengono spacciate sempre come quelle “der poppolo sovrano”, per citare la battuta in romanesco di un vecchio film.

Il popolo, la folla, insomma (e noi tra di essa), hanno sempre ragione… Può anche darsi che sia vero. Ma francamente i dubbi sono tanti. E proprio in questi giorni legati alla Pasqua, che arriva sempre e non a caso dopo una settimana di Passione, si facevano delle riflessioni che forse trascendono anche dall’aspetto religioso, intimo, personale, cristiano. Perché – senza volere riscrivere trattati di teologia – appartengono più verosimilmente alla storia quotidiana. Si legano a una vita – senza essere blasfemi – semplicemente vissuta. Con il sacrificio e il dubbio, appunto.

Ci si trova a pensare alla folla. A che tipo di uomo, proprio così, nella folla saremmo potuti essere, che so, duemila e passa anni fa. A colui che è presente in un folto gruppo di amici invitati a una festa di nozze che, a un certo punto, si preoccupa perché il vino è finito e comincia a guardarsi un po’ in giro?

A un uomo piccoletto, anche di statura, molto curioso che come Zaccheo è costretto a arrampicarsi su un sicomoro per vedere passare un tale cui si sono sentite attribuire parole e cose interessanti?

A un individuo confuso in una plebaglia vociante che così, senza avere mai riflettuto o pensato, posto dinanzi a un problema urla: Crucifige! Crucifige! E poi se ne torna a casa contento?

Chi lo sa. È ugualmente faticoso e strano vivere. Anche senza pensieri nella testa. Da soli e insieme con gli altri, perché, in qualche maniera, tutto sarebbe dovuto, gratis, a chiunque abbia la ventura di posare il suo piede sulla Terra.

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