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Opinioni

IPOTESI DI RILANCIO

ROBERTO MOLINARI - 30/03/2018

pdDa qualche giorno nel PD, a tutti i livelli, è iniziato il confronto sulle ragioni di una sconfitta elettorale di dimensioni non immaginabili prima per la sua profondità e vastità. Premetto che non amo il tiro a segno che si sviluppa in questi casi nel tentativo di affondare questo o quell’altro. Non lo scrivo per difendere qualcuno o salvaguardare qualcun altro. Io penso che quando il “moderno Principe”, tanto per citare Gramsci, subisce una sconfitta, allora, il tema non è la responsabilità di una persona o di diverse persone a tutti i livelli, ma è il come si comprende tutti insieme, collettivamente, quello che si è sbagliato e quali paradigmi occorre trovare per interpretare ciò che sta intorno a noi.

Le responsabilità sono poi una conseguenza di questa analisi e sono un trarre le decisioni a seguito di conclusioni ragionate e non frutto di emozioni buone solo per trovare un “capro espiatorio” e assolversi collettivamente dagli errori o giocare la classica carta della resa dei conti e delle rivincite.

Premesso questo proverei a fare qualche ragionamento con la precisa volontà non solo di non considerare esaustivo tutto questo, ma, anzi di ritenerlo solo una parte delle possibili spiegazioni, spiegazioni che devono essere ricercate e approfondite e che non possono ritenersi esaurite né in poche righe né in quei quindici minuti che ci diamo tutti nei nostri interventi nelle assemblee di questi giorni.

Io penso che il PD abbia dato, soprattutto nell’ultimo periodo della legislatura, l’impressione e scrivo di impressione, di essere una sorta di partito radicale di massa.

Con l’attenzione data, (giusta attenzione si badi bene), ai diritti con proposte di legge che riguardavano temi come lo ius soli o il fine vita, è sembrato voler mettere l’accento più sui diritti individuali della persona che dare rilevanza a temi come il lavoro, il disagio e la sofferenza e a proporre soluzioni o quanto meno una direzione di marcia efficace.

Oggi il nostro Paese attraversa un momento storico che lo vede non ancora al di là della crisi e con ancora un piede e forse due nel fango di questi ultimi anni.

Abbiamo tutti gli indici di macroeconomici positivi, abbiamo le proiezioni che ci dicono che stiamo riprendendo un cammino di sviluppo, sia pure lentamente. Eppure, eppure siamo stati puniti dagli elettori. Da un lato da quelli che ci hanno detto di volere meno tasse e dall’altro da quelli che ci hanno detto che volevano più protezione.

Insomma, si è sviluppata una contraddizione paradossale per cui si ha un Paese condizionato dalla paura e dal rancore, dove però la paura è la paura del migrante e dall’assenza di protezioni da parte dello Stato e il rancore è il rancore verso tutto ciò che è politica, tutto ciò che è governo del presente, tutto ciò che è tentativo di modernizzare il Paese abbandonando le antiche certezze.

Io penso che il PD abbia fatto molte cose buone in questa legislatura. Che quelle non positive siano poche, ma che, tuttavia, si sia dato la sensazione di parlare solo ai vincenti della globalizzazione e non agli sconfitti di oggi e di domani. E si sia dato l’impressione di non imparare dalla sconfitta del referendum tanto da far si che il nuovo governo succeduto dopo le dimissioni di Renzi da PdC ne è stata la sostanziale continuità. E così ci siamo isolati ulteriormente. Abbiamo litigato con gli insegnanti, abbiamo rotto con i sindacati dei lavoratori, abbiamo chiuso le porte in faccia alla mediazione in generale perché ritenuta superata su tutti i fronti come metodo politico. Per non parlare poi della nostra capacità nel farci del male moltiplicando le cannonate sul quartier generale ad opera di chi la “ditta” la considera solo e sempre quando ne è comandante in capo e non semplice azionista e neanche di riferimento.

Quello che più mi preme, è, tuttavia, il senso di incapacità che abbiamo dimostrato nel comprendere, nel leggere la situazione di disagio in buona parte del Paese e nel regalare questo disagio a quelle frange politiche che non meritano certo di farsi portavoce di questa larga fetta. Insomma, anche quando abbiamo fatto provvedimenti sacrosanti come ad esempio il REI siamo stati capaci di farlo troppo tardi. E così il PD ha raccolto voti tra l’elettorato di opinione, tra quelli più acculturati, più consapevoli, quelli che abitano generalmente nel centro città, ma abbiamo perso le periferie e il nostro Paese è pieno di periferie e le nostre periferie non si fermano certo ai confini urbani, ma vanno ben oltre, sono i mille piccoli comuni e le mille piccole comunità che fanno la bellezza dell’Italia.

Questo è certamente un Paese che a volte è strano. Che dice, come hanno detto gli elettori in questa tornata elettorale, che bisogna far pagare meno tasse ai ricchi per dare più soldi ai poveri. Eppure questo ha consentito a Salvini di vincere dove il Paese ha ripreso a correre e dove l’integrazione avviene con qualche difficoltà, ma avviene e a Di Maio di avere consenso dove la disperazione è più forte e il modello che si propone è quello classico di più Stato e più protezione, ma non sviluppo o un altro modello di sviluppo. Su questo io mi interrogo e mi chiedo come questo sia stato possibile, come sia stato possibile che il PD abbia potuto dare l’impressione e forse qualcosa di più, di pensare solo al produrre ricchezza e non si sia impegnato nel tema della redistribuzione. Come sia stato possibile sottovalutare il tema della paura a trecentosessanta gradi, paura dell’altro, paura di non farcela, paura di non sapere come affrontare il futuro e non ci si sia impegnati nella costruzione di un sistema di ammortizzatori in grado di rispondere alla domanda di chi il lavoro lo perde a 50 o 55 anni e gli si dice che deve andare in pensione sempre più tardi e di aiuti a chi il lavoro non lo trova e ha 30 anni e una vita davanti. Insomma, il tema di come diminuire le diseguaglianze e non quello di rendere tutti più eguali. In questi giorni mi sento spesso ripetere che dobbiamo ritornare ad essere popolari, a stare con il popolo. Già come se noi il popolo lo avessimo volutamente abbandonato. Mi sento ripetere che occorre cambiare e rifondare il PD.

Io penso una cosa diversa E cioè che il PD deve e non può che essere quello della fondazione. Del Lingotto. Io penso che li il ruolo storico che ci siamo dati sia ancora attuale e perseguibile. Quella che deve essere perseguita è una nuova linea politica che deve rispondere al momento che stiamo vivendo. Alla sconfitta subita, alla necessità di leggere il mondo attorno a noi con nuovi paradigmi e alla capacità di dare risposte diverse sapendo anche che noi non siamo capaci e non potremo parlare alla pancia della gente. Occorre riscoprire l’umiltà di porci in ascolto. Di sapere mettere la testa a terra a mo dei vecchi indiani e ascoltare i passi di chi si avvicina, interpretarli e leggerli nel modo giusto. Oggi noi rischiamo di essere di fronte ad un nuovo dirompente bipolarismo. Un bipolarismo fatto da due populismi e estremismi, non diversi, ma entrambi con lo stesso brodo politico fatto di antieuropeismo e facile demagogia e quindi concorrenti tra loro. In questa situazione rischia di sparire definitivamente il ceto medio quello che ha sempre garantito la stabilità del Paese, ma anche la sua capacità di sapersi rigenerare da ogni situazione di difficoltà. Certo noi abbiamo delle grandi responsabilità perché se si pensa che l’Italia sia fatta solo dai “ceti riflessivi” si finisce per parlare a quelli che vedono solo la prospettiva dei diritti e che pensano all’alleanza dei “progressisti” come panacea. Una minoranza, significativa, ma pur sempre una minoranza distante dalla gente comune che cerca il modesto benessere e il quieto vivere per se e i propri figli. Mai come questa volta mi è tornato attuale un bel libero, “Il medico di corte” dello scrittore Enquist.

Nel romanzo si descrive l’ascesa del giovane Struensee, prima medico e poi Primo Ministro, del Re di Danimarca Cristiano VII che, intriso di idealismo e idee illuministe introduce grandi e importanti riforme capaci di modernizzare il paese e di migliorare le condizioni di vita del popolo. Con un amaro finale, tuttavia, Struensee verrà messo a morte dal sovrano, isolato e abbandonato da tutti perché incapace, con il suo illuminismo calato dall’alto, di creare consenso tra il popolo e appoggio alle sue riforme. Il PD negli ultimi anni ha dato in parte questa impressione. Più attento ai meccanismi dell’accumulo necessari per far ripartire l’economia che alla sofferenza e al disagio. Più attento alla macro economia che al difficile vivere quotidiano.

Questa è stato, anche se non concordo pienamente, il senso che abbiamo trasmesso.

Questo stato unito al fatto che di fatto ci siamo isolati da ogni alleanza e siamo andati alle elezioni praticamente da soli ci ha portato al disastro elettorale che abbiamo visto il 4 marzo scorso. Ora occorre iniziare una traversata del deserto. Occorre avere l’umiltà di ascoltare, di rimettersi a studiare, a pensare e ad elaborare delle proposte di senso e credibili, capaci di essere “popolari” e non populiste. Oggi il PD corre certamente un grave pericolo, corre il rischio dell’irrilevanza, ma anche quello della scomparsa per effetto dell’OPA ostile lanciata dai 5stelle su di lui.

Io sono convinto che, a fronte della crisi delle socialdemocrazie europee, ma anche specularmente della trasformazione dei democratici cristiani in formazioni conservatrici senza più l’originalità del “popolarismo sturziano”, il PD sia stato, al momento della sua fondazione, la risposta corretta, da un lato per raccogliere il meglio delle culture politiche del Paese e dall’altro l’occasione migliore per offrire una casa ai “nativi democratici” che non avevano nessuna tradizione e mai fatto politica.

E penso che ancora oggi questa sfida possa essere giocata, giocata non sul piano dell’identità, ma su quello della politica e delle proposte. Questa deve essere la frontiera del rilancio da percorrere con coraggio, con testardaggine, ma anche con molta umiltà.

Roberto Molinari, Direzione provinciale PD Varese

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