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Editoriale

CAPRIOLE

MASSIMO LODI - 06/04/2018

salviniFedeli al costume che affonda le radici in saecula saeculorum, gl’italiani danno prova nelle settimane successive al 4 marzo della vocazione al trasformismo. Attorno al carro dei vincitori, Cinquestelle e Lega, sgomita una palpitante folla per salirvi sopra. Spiccano gli esponenti del ceto intellettuale, l’intellighenzia -soprattutto di sinistra- che fino a ieri aveva sprezzato i due partiti del cambiamento/della rivoluzione, dispensandogli ogni possibile sberleffo, e adesso li rivaluta e ammira, li carezza e liscia. Ecco, lisciare sembra il verbo più appropriato.

Riassume bene lo spirito cortigiano del tempo quanto ha detto l’attore ex/post comunista Claudio Amendola: Matteo Salvini è il politico più capace degli ultimi trent’anni. Salvini chi? Quello che l’area politica da cui proviene Amendola ha sempre tacciato di rozzo, ignorante, razzista, neroverde impresentabile eccetera? Ma sì, proprio lui. Ora si scopre che possedeva/esibiva da decenni un profilo da statista, anche se nessuno se n’era accorto. O, pur accorgendosene, aveva nascosto dietro un velo di prudente riservatezza la sua opinione.

Ma Amendola non è l’unico ad essersi cimentato nella pratica del revirement. Lo affiancano altri del mondo dello spettacolo, dell’universo delle arti, del milieu culturale, e naturalmente/in primis delle categorie economiche. Tutti folgorati dall’uomo del destino, capace di far risorgere (stravolgendone la ragione sociale) un partito che cinque anni fa era morto, e poi di cogliere gli umori veri del Paese, e naturalmente di proporre soluzioni chiare/realistiche/praticabili ai tanti problemi che ci affliggono: tasse, sicurezza e immigrati in primis.

Ovvio che non sussista alcun tornaconto personale (a chi mai interessano poltrone, seggiole e scranni di potere-sottopotere?) nell’espressione di simili giudizi encomiastici verso Salvini, che peraltro si estendono al suo partner nella trattativa per formare il governo, Di Maio. C’è solo uno spiccato senso della cosa pubblica, un’assunzione commendevole di responsabilità, un veder lungo e ampio. C’è finalmente la ricusazione provvida di quanti sino a ieri venivano soffocati dall’incenso laudativo (un nome a caso: Renzi); la critica capacità di ravvedersi; infine il desiderio di mettersi a disposizione del bene comune. Diciamo, in sintesi: un genuino/collaborativo senso civico.

Del resto, come sorprendersi di fronte alle capriole d’oggi se, per esempio, all’indomani della seconda guerra mondiale, buona e significativa parte della destra confluì nella sinistra, i fascisti si volsero in missionari del comunismo, gli antisemiti s’impancarono a difensori dello Stato d’Israele, e via ecceterando nel segno d’una disinvoltura peraltro accettata da un Paese bendisposto verso il cinismo tramandatogli da più generazioni?

Quello che accade nella contemporaneità è uno scontato replay del film tante volte visto in passato. I vincitori non fanno prigionieri. Fanno proseliti. E i vinti non fanno una brutta fine, si organizzano per fare un buon inizio, possibilmente da vicevincitori. E’ questa storica melassa a renderci incomprensibili agli stranieri. Da loro esiste un mondo in bianco e nero, con nettezza di figure e ruoli. Da noi un universo grigio, con mix di sfumature e tendenza all’indistinto melange. D’altra parte siamo i maestri dell’arte di vestire e svestire i panni alla moda, e non si sono mai visti dalle nostre parti restare nudi i sostenitori d’un re decaduto.

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