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Parole

SUPERFICIALITÀ

MARGHERITA GIROMINI - 13/04/2018

likeBasta “like”, per favore!

Un amico, amico si fa per dire, di Facebook, posta la notizia di un lutto nella sua famiglia. In pochi minuti la sua bacheca si riempie di like. Che cosa mi piace? Il lutto? La morte? Che lui o lei stia soffrendo per la perdita subita? Ma certo che no!

Forse voglio esprimere condivisione per quello che lui/lei stanno scrivendo sulla piazza virtuale?

In questo caso, e in altri simili, i like su Facebook a me fanno il medesimo effetto degli applausi ai funerali.

Convengo che il tema è delicato. Chi racconta un dolore in rete lo fa per essere supportato dall’affetto, sia pure virtuale, dei suoi amici.

Ma c’è un grave limite nelle condivisioni della rete. Pensiamo all’ampiezza di vocabolario che la lingua ci offre per esplicitare un sentimento di compassione: mi dispiace, trovo terribile quello che ti è successo, non ce l’aspettavamo, sono addolorato per te, non ci posso credere, hai tutta la mia comprensione ….

Un “like” invece esibisce la superficiale lievità della navigazione: tra una pubblicità, un caso politico, un compleanno, può fare capolino anche l’evento luttuoso.

Non è colpa nemmeno dell’inglese se i like, così come i “love”, sono interscambiabili.

I like/ I love: il caffè, il mare, l’amore, i genitori, i figli, il mio paese, un film, quella certa musica.

Mi disturba il frullato dei sentimenti, l’indistinto che ricorre a una sola parola per le più svariate situazioni.

Ecco il potere del like: semplice e condivisibile da milioni e milioni di umani.

Un like non si nega a nessuno: mi si chiede di apporlo al Centro Medico Convenzionato tal dei tali, più like = più clienti = più affari. Poi al quotidiano x, alla app di car sharing, al partito politico, alla squadra di calcio, alla petizione ecologica e a quella per i diritti umani; ai ciclisti dilettanti tra i quali pedala il figlio dell’amico, e alla canzone del rapper sconosciuto, al video con le gag di Totò, ai viaggi in Patagonia, alla ditta di prodotti biologici e così all’infinito.

Basta conoscere due paroline, “like” e “love”. Perché il loro contrario, I don’t like/ I don’t love, non è selezionabile.

Il vasto mare dei sentimenti è servito.

Oggi siamo alla dimensione pubblica della sfera intima. Dentro un social troviamo una zona per le confidenze, un’accogliente superfamiglia a cui affidare e preferenze, foto, racconti di vacanze, resoconti di cene e di feste con gli amici. Ma soprattutto un luogo dove esprimiamo opinioni e condivisione su ogni questione.

Lo staff di Zuckerberg ha allo studio un nuovo tasto che consenta anche di esprimere appoggio e sostegno alle situazioni di disagio o di sofferenza postate in rete. Problema di complessa soluzione perché se alla notizia di un lutto non è opportuno mettere “like”, neppure un “dislike” – non mi piace”, potrebbe aiutare a chiarire il sentimento di comprensione.

A parte il fatto che il team di Facebook teme l’impatto distruttivo che un bottone “non mi piace” potrebbe generare sugli utenti che si ritrovassero un profluvio di segni negativi sotto un loro post.

Allora lasciamo gli esperti al lavoro e attendiamo con curiosa ansia le mosse risolutive che saprà scovare il colosso Facebook.

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