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Parole

PICCOLI GRANDI EROI

MARGHERITA GIROMINI - 27/04/2018

Il monumento di Largo Resistenza

Il monumento di Largo Resistenza

Esiste un elenco ufficiale dei partigiani della nostra provincia caduti nel corso dei lunghi mesi seguiti all’8 settembre 1943.

Nella ricorrenza del 25 aprile appena trascorso il mio pensiero riconoscente va agli uomini meno conosciuti, per motivi diversissimi, e in particolare a due di loro.

In qualche caso la minore visibilità rispetto ad altri partigiani, riconosciuti come eroi e celebrati anche fuori dalle ricorrenze istituzionali, è dovuta alla loro morte in circostanze, se è possibile dirlo, normali per un periodo di guerra: durante uno scontro, a seguito della cattura, durante una fuga per le montagne impervie, fucilati a un posto di blocco.

Altre volte sono state le famiglie, distrutte dal dolore per la perdita di giovani vite, a voler chiudere con il passato. Troppo duro era stato il periodo che si concluse con il 25 aprile del 1945 e che si lasciava alle spalle storie indicibili di fame e di stenti, di dolore e di lutti.

Così la nostra fragile memoria storica ha sbiadito il ricordo dei nomi di molti caduti, e li ha affidati alle lapidi dei monumenti, o alla tomba di famiglia, o a un cippo in montagna.

Oggi voglio ricordare due uomini, la cui giovane età mi impressiona, se rapportata all’oggi.

Mi colpisce che ragazzi poco più che adolescenti abbiano sentito il bisogno di partecipare ad un momento corale di lotta, spesso guidati da comandanti, anche loro giovani, a volte maggiori di pochi anni, spesso politicizzati in quanto militanti di gruppi afferenti a diverse aree politiche, tutte clandestine durante il regime fascista. Qualche volta s trattava di ragazzi provenienti da famiglie antifasciste, educati alla libertà e al pensiero critico.

Ma in tanti casi si trattava di giovani che, sia pure in condizioni estreme, avevano maturato un forte senso della giustizia, un amore per la libertà mai assaporata dato che la loro formazione scolastica e culturale aveva avuto luogo nel ventennio, al suono di “Giovinezza” e di “Faccetta nera”.

Parlerò di due di loro, Angelo Bossi di Sant’Ambrogio e Sandro Nicolini di Biumo Inferiore.

Entrambi furono uccisi pochi giorni prima della Liberazione. Bossi il 21 e Nicolini il 26 del mese di aprile. Aveva ventuno anni.

Sui loro cippi si ricorda che furono uccisi “quando stava per spuntare l’alba del nuovo giorno”, giorno che a loro non toccò in sorte di vedere.

Di Angelo Bossi poco si sa. Giovane sfortunato anche dopo la morte perché la lapide che lo ricorda, collocata in fondo a via dell’Annunciazione, alla Prima Cappella, oggi non è più visibile al pellegrino che sale al Sacro Monte.

In passato questa via era usata come scorciatoia verso la Settima Cappella; oggi il passaggio è chiuso da un cancello accessibile solo ai residenti. Volendo portargli omaggio si deve salire per questa via privata, percorrerla tutta fino all’ultima casa, e poi ridiscendere per tornare al punto di partenza della Via Sacra.

Sul muro dell’ultima villa, in una nicchia ricavata nel muro di cinta, è posta la lapide dedicata ad Angelo. Ogni anno, proprio in questi giorni, il proprietario scende ad aprire la griglia di protezione, libera la nicchia dalle foglie e la fotografia del giovane dalla polvere, infine depone un fiore.

Maggiore fortuna nella sfortuna è toccata all’altrettanto giovane Sandro Nicolini, a cui sono state dedicate una via e una sala comunale nella castellanza varesina di Biumo Inferiore.

Sandro lavorava come meccanico tornitore presso la Ditta “Costruzioni Meccaniche Riva” che fabbricava macchine utensili in via Cairoli. Nonostante l’aiuto che il suo datore di lavoro, Nazzareno Riva, avrebbe potuto fornirgli, trattenendolo in servizio ed evitandogli così la chiamata alla leva, il giovane volle espatriare in Svizzera come internato civile. Poco dopo aderì alla Resistenza entrando nella 90° Brigata Garibaldi “Zampiero” guidata da Giovanni Pirelli, scrittore e uomo di cultura, nato a Velate nella famiglia degli industriali Pirelli.

Era finita la guerra, quel 26 aprile del 1945, quando Nicolini cadde a Campodolcino in Valle Spluga, durante un feroce rastrellamento effettuato da forze fasciste in procinto di ritirarsi.

Solo il giorno seguente, il 27, la Valle Spluga e la Val Chiavenna sarebbero state definitivamente liberate. A sera apparve sui muri dei paesi il manifesto dei liberatori che proclamava: “Popolo di Val Chiavenna! Il fascismo è caduto, sepolto sotto le macerie di quella orribile guerra che volle scatenare. È caduto per opera della sua arma, la violenza. Deve rimanere sepolto per sempre! …”

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