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Cultura

I DADINI

SERGIO REDAELLI - 25/05/2018

 

Stirpe di artisti forse originaria di un castello nell’Ardèche in Francia, i Monestier raccontano un secolo di storia del design e strizzano l’occhio al nuovo millennio. Dal bisnonno Clito, prolifico illustratore della Domenica del Corriere nella Milano liberty d’inizio ‘900 al nonno Otto, braccio destro del “cumenda” Angelo Rizzoli che fondò la casa editrice milanese, allo zio Bruno per vent’anni art-director alla Mondadori; fino ad arrivare alla nuova leva dei nipoti, tredici, tra cui Stefano autore televisivo, Tito architetto d’interni ed Eva che sarà presto dottore in design del prodotto industriale. Custodi di tradizioni e abilità artistiche che narrano una bella storia familiare.

Per i cento anni dalla nascita di Otto (1918-1997) – il nonno – la famiglia ha donato alla comunità di Induno Olona, dove vive, la maxi-versione di un ingegnoso gioco manuale, i Dadini, che l’artista brevettò nel 1968. L’invenzione originale consiste in dodici cubetti di legno legati da un elastico che, manipolati, possono assumere le forme più svariate. È un gioco divertente per i bambini e un passatempo rilassante per gli adulti. Replicato, in giro per il mondo, in libere rielaborazioni di colore, materiali, numero degli elementi e dimensioni.

La versione gigante in ferro, interamente dipinta di bianco, misura oltre sette metri di altezza e campeggia da qualche giorno sulla Rotonda di via Jamoretti all’ingresso di Induno Olona, il paese dove Otto si trasferì negli anni ’60 con la moglie Enrica e i quattro figli Bruno, Paola, Luca e Alessandro. “Un dono che abbellisce il paese”, riconosce, inaugurandolo, il sindaco Marco Cavallin. “E non è l’unica opera del Maestro che meriterebbe il proscenio del suolo pubblico”, ha aggiunto il governatore della Lombardia Attilio Fontana presente alla cerimonia che, in anni lontani, frequentò l’artista.

Orfano di madre alla nascita e cresciuto dagli Artigianelli, Otto Monestier si era formato alla scuola d’arte Beato Angelico di Milano e in mezzo secolo di attività si è misurato con tutte le possibili declinazioni dell’arte. Tra gli anni ’50 e ’70 lega il suo nome ad alcuni tra i più importanti giornali della casa editrice Rizzoli (Europeo, Annabella, Oggi, Bella). Nel 1972 partecipa con la scultura modulare Eva alla 36a Biennale di Venezia ottenendo una menzione speciale. E dalla sua matita prendono forma decine di marchi industriali, tanto da meritare una citazione nella specifica sezione di Design del museo Pompidou-Beaubourg a Parigi.

Un artista inventore, un po’ Leonardo un po’ mastro Geppetto, dicono di lui i figli. Dopo il trasferimento a Induno cura il progetto grafico de Il Giornale che nasce a Varese nel 1973 per dare voce a chi non si sente rappresentato dal quotidiano “storico” La Prealpina. Su sua indicazione il Giornale tenta la strada innovativa del formato tabloid in largo anticipo rispetto al Corriere d’Informazione e alla Repubblica che esce nel 1976. Intuisce la modernità delle news brevi prese in serie dalla telescrivente che prefigurano gli odierni fogli d‘informazione gratuiti. E scrive i Dattili, taglienti editoriali grafici di satira politica e di costume che strappano un sorriso amaro al lettore.

Nel 1984 affresca il Falegname nel Villaggio Dipinto di Boarezzo, in Valganna, ispirandosi al profeta Ezechiele nella volta michelangiolesca della Cappella Sistina. E a più di vent’anni dalla morte, il ricordo dell’artista è ben vivo a Induno. Nessuno ha scordato quando ebbe l’idea di decorare il “muro cieco” che si affacciava sulla piazza della chiesa impiegando i bambini delle scuole elementari. Fissò al muro cento lastre di alluminio, su ciascuna delle quali un alunno aveva disegnato un fiore o un animale domestico. L’installazione, intitolata Il Mio Paese, gli fruttò la benemerenza civica Premio Induno. O quando scolpì in legno una umanissima Madonnina che fu messa, postuma, nella cappellina donata da Emilio Vanoni sulla strada delle scuole nella versione in bronzo curata dall’amico scultore Luigi Bennati. Subito “ribattezzata” Mater Maria dal parroco don Giorgio Marelli per il Giubileo del 2000.

Creativo, burbero e geniale come tutti gli artisti, Otto Monestier aveva mille interessi. Aggiustava polemicamente gli oggetti che la gente gettava in discarica e li restituiva a nuova vita. Criticava la superficiale e distratta società dei consumi ammalata di una strana febbre, la smania di sostituire il vecchio col nuovo. E dalle sue mani nascevano bellissimi pannelli realizzati con vecchi rocchetti della tessitura, colorati patchwork composti con i campionari della moquette, supporti sottratti ai cassonetti che riutilizzava per scrivere racconti e dipingere acquarelli.

Diffidava del facile successo commerciale di tanti sedicenti artisti, sostenuti e gonfiati da galleristi senza scrupoli per produrre soldi. Talvolta i suoi quadri e le sculture traevano spunto da soggetti drammatici, scolpiva nel legno figure di bambini africani denutriti, la pancia gonfia, sofferenti e disperati. Plasmava madonne-madri carnali e terrene, abbracciate ai figlioletti. Sentiva forte il richiamo della famiglia. Per lui il pranzo e la cena erano i momenti quotidiani in cui figli e genitori comunicano tra loro e si scambiano opinioni. E aveva ricavato sotto il tavolo lo spazio per tenere venti volumi dell’Enciclopedia, pronti da consultare stando a tavola.

Dinamico, aperto e senza peli sulla lingua infine il rapporto con la chiesa. Per amicizia con don Vincenzo Schieppati, parroco di San Paolo, decorò gli esterni dell’oratorio e progettò per la navata un affresco ispirato alle storie del santo che non fu possibile realizzare. Nel 1986 lavorò al mosaico dell’Ape sotto il Monarco utilizzando migliaia di tasselli di legno colorato. Coinvolse i bambini affidando a ciascuno di essi la creazione di una piastrella da assemblare come un puzzle. La grande opera collettiva fu inaugurata nel 1987 nell’atrio della scuola di Induno e nel piazzale di via Croci tenne quell’anno lezioni di disegno creativo per le scuole elementari.

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