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Opinioni

QUALE FUTURO

FELICE MAGNANI - 25/05/2018

solidarietaÈ difficile muoversi in una società che sfugge continuamente, che non si determina e che mostra il volto disorientato e depresso di chi non riesce più a credere a ciò che gli viene proposto. C’è una diffidenza diffusa verso tutti e verso tutto. È come se mettendo la testa fuori dall’acqua ti accorgessi che il mondo non è più quello che avevi conosciuto e amato. Ti senti disanimato, svuotato, anche se ti affanni a continuare a pensare che le cose prenderanno finalmente la piega giusta e finirà quella terribile baraonda di insulti, prevaricazioni, trasgressioni, ruberie, violenze, che caratterizzano l’Italia del terzo millennio, un paese molto amato, ma in balia di una bufera che non cessa neppure di fronte alla possibilità di un pericoloso naufragio.

La politica non ha saputo essere previdente, si è lasciata sorprendere, è diventata schiava di una quotidianità che non vede più avanti, che si consuma dentro se stessa, che esprime litigiosità e antipatia, antagonismo e furberia, dimenticandosi spesso la bellezza della sua fama, la sua capacità di creare coesione, di esprimere la creatività e la fantasia di un popolo che si è distinto nella storia per la sua infaticabile genialità.

Chi si guarda attorno oggi lo fa non fidandosi più di nessuno, è come se all’improvviso fosse calato il sipario e la scena fosse dominata da suoni, voci e personaggi provenienti da altri mondi, molto diversi da quelli che avevamo imparato a conoscere all’inizio della rinascita economica, quando la voglia di essere e di fare era contrassegnata da una semplicità di costume che riuniva tutte le forze in campo, facendole sentire solidali, unite, anche quando le idee erano diverse, divergenti o anche contrastanti.

C’era un mondo della cultura che si esprimeva attraverso varie voci, varie impostazioni, il costume era ampio e convergente, fatto di risorse che venivano messe in campo e che diventavano opportunità per tutti. Oggi manca moltissimo quel senso magico della coesione democratica, siamo ancora al punto di partenza, dove la necessità e i bisogni fondamentali si riducono spesso ad antagonismi esasperati, forzati da una rivalità politica che continua a fare comodo a chi pensa più alle poltrone e ai soldi che al benessere della società civile.

Viviamo nell’incertezza politica, economica, culturale e sociale, sottovalutiamo le situazioni, diamo per buono anche ciò che buono non lo è affatto, siamo sempre pronti a sdrammatizzare per paura di dire la verità, di dare risposte che non siano diplomatiche menzogne. È in questa ridda di voci, paure, distonie, piccole e grandi sofferenze che percorriamo le nostre vie, magari con l’attrezzatura adatta, ma senza quello spirito determinato e corretto che informa la democrazia, quel sistema che abbiamo imparato ad amare nella vita famigliare, grazie ai solleciti educativi di papà e mamme capaci di farsi amare anche nella loro giusta imparzialità.

Qualcuno afferma non senza un certo disprezzo che il futuro è vecchio, che ha la barba bianca e che manifesta evidenti segni di sofferenza dovuti all’età, forse dimenticandosi che i vecchi sono una grandissima risorsa, la parte nobile di una società che li ha visti lavorare sodo, amare la propria famiglia, allevarla e sostenerla, capaci di sostenerla ancora oggi, mentre il lavoro manca e i figli sono stati licenziati da multinazionali che sfruttano e poi scappano, come se l’umanità fosse merce di contrabbando.

Forse un futuro esiste ancora, ma non basta pensarlo, bisogna credere fino in fondo nella forza e nella bellezza di una solidarietà che accomuni tutte le forze in campo, per ritrovare anche solo una parte di quell’armonia che consente agli esseri umani di realizzare quella porzione di felicità umana di cui sono legittimi garanti.

 

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