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Società

IL CAPITALE CRISTIANO

EDOARDO ZIN - 01/06/2018

dossettiLa strada malagevole s’inerpicava sull’Appennino che congiunge Bologna con Sestola per poi scendere in Toscana. Il terreno era ricoperto da foglie brune e gialle, gli alberi ormai spogli formavano un susseguirsi di tronchi che delimitavano la strada. Più avanti ancora, il paesaggio si faceva più spettrale: prati abbandonati, boschi brulli, qualche rudere di casa visibilmente incendiata: ero entrato nel parco sacro di Marzabotto – Monzuno – Grizzana, dove i nazisti in fuga avevano seminato odio e disperazione massacrando intere popolazioni e incendiando le loro case.

Ero diretto a Monteveglio, dove Giuseppe Dossetti viveva in una famiglia religiosa da lui fondata con lo scopo d’intercedere presso Dio per gli aguzzini e le loro vittime. Era l’autunno del 1995 e compagno di viaggio era Remo, il fratello gemello di don Tommaso, entrato nella famiglia monastica di Dossetti e che da lì a pochi anni sarebbe divenuto il suo successore. Eravamo saliti lassù per conoscere il costituente, il consigliere del card. Lercaro durante il Concilio, il mistico.

Dossetti era già stanco e malato. Nelle foto l’avevo visto magro e allampanato, ma, avvolto nella sua lunga tunica scolorita e sdrucita, mi sembrava ancora più segalino. Mi colpirono gli occhi, inquieti e indagatori. Saputo che ero oriundo di Vicenza, il discorso cadde inevitabilmente sul suo amico Mariano Rumor e del ruolo da lui avuto in un incontro svoltosi nei primi anni del ’50 a Rossena per difendere fin d’ allora la giovane Costituzione. Poco tempo prima del nostro incontro, Dossetti era sceso in campo per difendere la nostra Carta minacciata prima dal craxismo, successivamente dall’inarrestabile decadenza democristiana e infine dalla disarticolazione federalista della Lega, nonché dall’ascesa di Berlusconi.

Sfacciatamente, gli chiesi perché avesse lasciato la vita politica per abbracciare il sacerdozio. Mi rispose: ”Perché ho capito che per cambiare la società civile italiana occorreva rinnovare la Chiesa!”. L’incontro durò poco più di venti minuti e al momento del congedo ci disse: “Salvate la Costituzione!”

In questi giorni tristi e grotteschi, ho ricordato quell’incontro. In un momento di preoccupante deterioramento della politica italiana, da cui sono emerse sfrenate ostinazioni foriere di conseguenze nefaste per il Paese al punto di provocare la minaccia di stato d’accusa per tradimento della Costituzione rivolta al Capo dello Stato colpevole di aver soverchiato le proprie competenze, sarà bene riflettere sul valore della nostra Costituzione e sui valori su cui essa è fondata.

Ai costituzionalisti lascio il compito di giudicare l’operato di Sergio Mattarella. A me, cittadino, corre l’obbligo di meditare sui fatti alla luce dello spirito della Carta.

Al centro della Costituzione c’è il principio del bene comune. Èun’idea – quella del bene comune – che nel tempo è stata spogliata del suo vero significato, ridotta a brandelli da uno sfrenato individualismo introdotto dapprima da una lotta di classe e, in questa stagione, da un esasperato capitalismo che ha plasmato l’idea che tutto si possa misurare con il denaro oltre che a contribuire ad accrescere le disuguaglianze sociali. Da qui la nascita di un populismo, molecolare e frammentario, che ha cavalcato la giusta collera della povera gente, illudendola che tutto possa essere cambiato e subito.

Il bene comune, al contrario, è capacità di sintesi, non è passione da cavalcare per conquistare qualche voto, non è emergenza, passione di un momento, è capacità di pensieri, di visioni lunghe, di progetti sottratti all’effimero del presente. Èquello che è mancato nella formazione del governo Conte: non il bene comune, ma l’interesse della propria parte ha prevalso, magari in nome di uno spregiudicato tatticismo per giungere a nuove elezioni.

In un Paese lacerato, fragile, contraddistinto da confusione, sono venuti meno quei legami in cui la persona – non l’individuo – si realizza e in cui il primato del bene comune doveva prevalere sull’ostinata proposta di nomina di un ministro che nel passato non aveva certo brillato per essere un paladino della salvaguardia e dello sviluppo dell’Europa. Per questo motivo, il presidente Mattarella merita tutto il nostro sostegno per aver difeso la Costituzione. E adesso?

Occorre tralasciare da parte gli interessi particolari e riallacciare vincoli di solida unità.

 I cristiani sono chiamati a riannodare questi legami, a costruire una società solida fondata sulla prosperità e sulla solidarietà, a costruire ponti, non a innalzare muri, a fare della città un luogo d’incontro, delle piazze luoghi di aggregazione per il confronto, delle sedi di partito spazi per vagliare opinioni.

L’ha sottolineato, con la sua esemplare mitezza, anche il card. Bassetti, al termine dei lavori dell’assemblea plenaria dei nostri vescovi, indicando cinque mete concrete da perseguire: la centralità della persona, il lavoro come fondamento della personalità umana, la tassazione progressiva, l’attuazione della Costituzione, la scelta chiara per la democrazia e per l’Europa.

“Il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è proprio l’uomo, la persona nella sua integralità” – ha scritto Benedetto XVI° nella “Caritas in veritate”. Tutti i principi fondamentali (dall’art. 1 all’art. 11) della nostra Carta si fondano su questa matrice. Ultimamente, è scomparsa la parola “persona” ed è stata sostituita da “utente”, quasi a significare che al centro delle preoccupazioni dello Stato non ci sia l’uomo in tutta la sua interezza e irrepetibilità, ma solo un qualsiasi fruitore di servizi. Ma la persona con la sua dignità viene prima dello Stato.

“Una società bene ordinata deve dare a ciascun uomo la possibilità di esplicare nel lavoro la sua energia e di conseguire un reddito sufficiente alle necessità proprie e della propria famiglia” è scritto nel codice di Camaldoli stilato nel 1943 da un gruppo di intellettuali cattolici. Questo principio è stato recepito nell’art. 36 della Carta, ma non è pienamente attuato anche perché il lavoro non si può creare solo finanziando col debito pubblico le imprese, ma incentivando la creatività e l’innovazione. Ma di tutto questo non abbiamo trovato traccia nel contratto dell’esecutivo che stava per nascere.

“Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”: recita il secondo comma dell’art. 53 della Carta. Come si poteva conciliare la flat – tax con questo principio che mette in pericolo l’ordinata disciplina dei tributi, mal sopportata dai contribuenti più indigenti e goduta dai contribuenti più ricchi.

C’è un nesso tra la completa attuazione della Costituzione e la presenza dei cristiani nella società democratica. Dovrebbero essere loro il lievito, il fermento che “salva l’uomo”. Anche nella laicissima Francia, durante un incontro con i vescovi, il presidente Macron ha ringraziato “in maniera solenne” i cattolici e ha chiesto a loro di fortificare la Francia con il “loro impegno di saggezza, di carità e di libertà”.

La crisi attuale va guardata con occhi più disincantati. Con un impegno rinnovato su valori perenni. Soprattutto con gioia, con intelligenza, con spirito critico perché l’acriticità ha dato luogo ai nazionalismi, nello spirito del dialogo. Proprio come ci ha insegnato Giuseppe Dossetti.

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