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Garibalderie

VARÉS DELLA BATTAGLIA

ROBERTO GERVASINI - 01/06/2018

La battaglia di Varese nel quadro di Faruffini, Musei Civici di Pavia

La battaglia di Varese nel quadro di Faruffini, Musei Civici di Pavia

A Varés nel ventennio a guida leghista nessuno si è posto una domanda semplice, tanto meno in occasione delle celebrazioni dei 200 anni dall’elevazione a città. La domanda è questa: qual è l’avvenimento storico più significativo accaduto a Varese dal 1816 ad oggi? La risposta è perfino facile.

Sui testi scolastici di storia moderna la città viene menzionata una sola volta, quando viene menzionata, ma monumenti sparsi per il Paese bene evidenziano il nome. Questo unico accadimento storico varesino degno di citazione è la prima battaglia della seconda Guerra d’indipendenza, il 26 maggio del 1859, generale Garibaldi.

Il nome di Varese con Marsala e Calatafimi è ben visibile sulla prima colonna del Ponte Garibaldi sul Tevere, sotto il Gianicolo. Sta sul fronte del Monumento a Garibaldi a Milano in Largo Cairoli ed in decine di altri sparsi in Italia, dalla Romagna all’Umbria, dalla Liguria al Lazio.

I varesini che ne sanno? Chi è nato negli anni ’30 ben ricorda le celebrazioni scolastiche varesine in occasione del 26 maggio.

A piedi, gli alunni di tutte le scuole si radunavano in Piazza 26 maggio a Biumo e raggiungevano l’obelisco alla Chiesa del Lazzaretto in fondo a Viale Belforte, oggi in uno stato pietoso, per una solenne celebrazione, là dove caduti e feriti di entrambi gli schieramenti erano stati ammassati.

 Da soli nove anni, grazie all’ Associazione Varese per l’Italia 26 maggio 1859, si è tornati a celebrare l’evento, in modo degno, non perdendo l’occasione per regalare anche brevi lezioni di Storia.

Il professor Antonio Orecchia in una manciata di minuti è riuscito quest’anno a dare numeri interessanti sulle tirature dei testi di carattere patriottico e risorgimentale allora censurati e proibiti dai “mangia patati tugnitt “ austriaci. Si va dalle 80 alle 100mila copie vendute alla metà dell’Ottocento, veri successi editoriali, con traduzioni in francese e in inglese al punto che Charles Elliot Norton, storico e letterato americano, traduttore di Dante, riferisce di avere trovato una copia de “Le mie prigioni “ di Silvio Pellico in un accampamento indiano.

La situazione a Varés rimane drammatica se il presidente di Varese per l’Italia 26 maggio 1859, ha esordito dichiarandosi fiducioso per il fatto che dopo tanti anni Piazza Podestà, sede delle celebrazioni, non è occupata da giostre e bancarelle per poi continuare raccomandando a tutti di cantare l’Inno di Mameli senza tenere le mani in tasca, come ha fatto la terza carica della Repubblica delle Banane.

Accade nel frattempo a Varese che una piccola percentuale di alunni dell’Istituto Daverio Casula sappia chi fu Francesco Daverio, così come al Cairoli, al ginnasio almeno, pochi sanno chi sia Ernesto Cairoli.

Qualcuno in Giunta a Varese afferma che il Risorgimento è “… cosa vecchia”. È vero che questa è una città con poca storia e quella poca è prevalentemente risorgimentale. Il Risorgimento italiano nasce con l’era napoleonica e termina nel 1918: sono oltre cento anni e Varese e i varesini hanno avuto ruoli non secondari, dai Dandolo a Daverio, da Morosini ad Arconati, da Adamoli e Lucia Prinetti al grandissimo Giuseppe Ferrari… Per non parlare dei repubblicani Bolchini, Scuri, Rainoldi e Arconati, appunto, uno dei Mille.

Non sappiamo se patrocini o contributi siano mai stati concessi alle associazioni storiche e risorgimentali varesine e comunque non certo paragonabili a quelli concessi per le sagre della salamella e del cotechino che a Varese godono da sempre il favore culturale del popolo sovrano.

Un miracolo, uno, lo fece l’assessore alla Cultura, forzista e liberale, Longhini che fece allestire il Museo del Risorgimento in un Comune col sindaco leghista. Nessuno ricorda. Passatori di comunicati stampa non colsero la “notizia bomba “ che non è quella di un ubriaco che crea il panico al Pronto soccorso. Dopo l’era Fontana, sempre assente, sindaco di tutti i varesini, tutti quelli leghisti, abbiamo visto il sindaco Galimberti celebrare l’evento. Pareva impossibile. Simpatica la scelta dell’abbigliamento, tutta in stile garibaldino: scarpe da tennis, jeans e camicia a mezze maniche con la fascia tricolore.

Garibaldi avrebbe estratto la sciabola dal fodero.

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